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“Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”   56 comments

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… e il profeta disse: “Nascerà da umile dimora un bambino che diverrà il Salvatore del mondo, il Re dei Re! Al suo apparire ci saranno schiere di Angeli ad accoglierlo sulla terra e si verificheranno cose mai viste prima”.

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Dal Vangelo secondo Matteo – 2

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta”:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele”.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.

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Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.

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Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”.
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
“Dall’ Egitto ho chiamato mio figlio.”
Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:
“Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande:
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più.”
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.

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Here’s to you, Nicola and Bart, rest forever here in our hearts …   36 comments

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Here’s to You
Lyrics by Joan Baez, Music by Ennio Morricone
Interpreted by Joan Baez
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
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Questo è per voi
Testo di Joan Baez, Musica di Ennio Morricone
Interpretata da Joan Baez
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
Questo è per voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e finale istante è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo

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Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, pugliese il primo e piemontese il secondo emigrarono negli Stati Uniti nel 1908. Vissero e lavorarono nel Massachusetts facendo i mestieri più disparati come consuetudine in quegli anni per gli immigrati, (alla fine Sacco calzolaio e Vanzetti pescivendolo), professando le loro idee socialiste di colore anarchico e pacifista. Nell’aprile del 1920 in un clima permeato da pregiudizi e da ostilità verso gli stranieri, furono accusati di essere gli autori di una rapina ad una fabbrica di calzature in cui rimasero vittime un cassiere e una guardia armata.

Il processo istituito contro di loro non giunse mai alla certezza di provare accusatorie sicure, ma fu fortemente condizionato dall’ansia di placare un opinione pubblica furiosa e avvelenata dalla violenza, a cui bisognava dare dei colpevoli e dal pretesto fornito dall’evento per la scalata al successo personale del giudice THAYER e del pubblico ministero KATZMANN.

Di certo Sacco e Vanzetti pagarono per le loro idee anarchiche, idealiste e pacifiste (al momento dell’intervento americano del conflitto del 15-18 si rifugiarono in Messico per non essere arruolati) e per il fatto di far parte di una minoranza etnica disprezzata ed osteggiata come quella italiana. Non da meno pesarono le azioni violente e terroristiche dell’altra ala del pensiero anarchica dei primi anni del secolo (ad es. Gaetano Cresci e Giovanni Passanante) e non ultime alcune contraddizioni della linea difensiva. Dopo circa un anno di processo il 14 luglio 1921 furono condannati alla sedia elettrica.

Sacco e Vanzetti ribadirono fino all’ultimo la loro innocenza, ma nonostante nel 1925 un pregiudicato, tal Celestino Madeiros si accusasse di aver partecipato alla rapina assieme ad altri complici; scagionando completamente i due italiani e nonostante appelli e manifestazioni di solidarietà e di richiesta di assoluzione da parte dell’opinione pubblica mondiale, la notte del 23 agosto 1927 Sacco e Vanzetti furono giustiziati sulla sedia elettrica.

Nel 1977 dopo che il caso era stato più volte riaperto, il governatore del Massachusetts, Michael s. Dukakis, riabilitò le figure di Sacco e Vanzetti, scrivendo nel documento che proclama per il 23 agosto di ogni anno il S.&V. Memorial Day che “il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi, l’intolleranza verso le idee non ortodosse, con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere per il rispetto dell’uomo e della verità”.

A noi di tutta la vicenda (che per la durata della prigionia e i contorni della fine assume quasi caratteri martirologici) preme far rilevare l’estrema coerenza e convinzione nei valori professati da Sacco e Vanzetti, mai rinnegati fino alla fine e non ultimo il forte legame di amicizia che li tenne uniti e spiritualmente vicini per tutta la loro esistenza, anche nel momento in cui salirono sulla sedia elettrica, con un coraggio, uno stoicismo ed una umanità su cui tutti dovremmo riflettere e confrontarci. Perché in ogni caso la vera memoria ha un futuro dentro ognuno di noi.

Fonte: http://www.saccoevanzetti.com/storia.htm

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La Ballata di Sacco e Vanzetti

Il più famoso componimento sulla vicenda di Sacco e Vanzetti ad opera di Joan Baez e del compositore Ennio Morricone.

Si tratta originariamente della colonna sonora del film di Giuliano Montaldo (1972) “Sacco e Vanzetti”, interpretato da Gian Maria Volonté (Bartolomeo Vanzetti) e Riccardo Cucciolla (Nicola Sacco). Musiche di Ennio Morricone e testi di Joan Baez. La Seconda parte della ballata è ispirata dalla lettera dal carcere di Vanzetti al padre, mentre la Terza parte è ispirata dalla stessa lettera dal carcere di Sacco al figlio Dante.

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The Ballad Of Sacco And Vanzetti – Part One
Lyrics by Joan Baez, Music by Ennio Morricone
Interpreted by Joan Baez
Give to me your tired and your poor
Your huddled masses yearning to breathe free
The wretched refuse of your teeming shore
Send these, the homeless, tempest-tossed to me.”
Blessed are the persecuted
And blessed are the pure in heart
Blessed are the merciful
And blessed are the ones who mourn
The step is hard that tears away the roots
And says goodbye to friends and family
The fathers and the mothers weep
The children cannot comprehend
But when there is a promised land
The brave will go and others follow
The beauty of the human spirit
Is the will to try our dreams
And so the masses teemed across the ocean
To a land of peace and hope
But no one heard a voice or saw a light
As they were tumbled onto shore
And none was welcomed by the echo of the phrase
“I lift my lamp beside the golden door.”
Blessed are the persecuted
And blessed are the pure in heart
Blessed are the merciful
And blessed are the ones who mourn

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La Ballata di Sacco Vanzetti – 1^ Parte
Testo di Joan Baez, Musica di Ennio Morricone
Interpretata da Joan Baez
 “Portatemi i vostri stanchi e i vostri poveri
le vostre masse riunite per respirare libere
i rifiuti scartati delle vostre rive affollate
mandateli, i senzacasa, quelli colpiti da tempesta, da me”
 Benedetti siano i perseguitati
e benedetti siano i puri di cuore
benedetti siano i misericordiosi
e benedetti siano i portatori di lutto
 Il passo è difficile che strappa le radici
e dice addio ad amici e famiglia
i padri e le madri piangono
i bambini non possono capire
ma quando c’è una terra promessa
i coraggiosi andranno e gli altri seguiranno
la bellezza dello spirito umano
è la volontà di provare i nostri sogni
e così le masse si affollano attraverso l’oceano
in una terra di pace e speranza
ma nessuno udì una voce o vide una luce
e furono sbattuti contro la riva
e nessuno fu accolto dall’eco della frase
“alzo la mia lampada dietro la porta d’oro”
 Benedetti siano i perseguitati
e benedetti siano i puri di cuore
benedetti siano i misericordiosi
e benedetti siano i portatori di lutto

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The Ballad Of Sacco And Vanzetti – Part Two
Lyrics by Joan Baez, Music by Ennio Morricone
Interpreted by Joan Baez
Father, yes, I am a prisoner
Fear not to relay my crime
The crime is loving the forsaken
Only silence is shame
And now I’ll tell you what’s against us
An art that’s lived for centuries
Go through the years and you will find
What’s blackened all of history
Against us is the law
With its immensity of strength and power
Against us is the law!
Police know how to make a man
A guilty or an innocent
Against us is the power of police!
The shameless lies that men have told
Will ever more be paid in gold
Against us is the power of the gold!
Against us is racial hatred
And the simple fact that we are poor
My father dear, I am a prisoner
Don’t be ashamed to tell my crime
The crime of love and brotherhood
And only silence is shame
With me I have my love, my innocence,
The workers, and the poor
For all of this I’m safe and strong
And hope is mine
Rebellion, revolution don’t need dollars
They need this instead
Imagination, suffering, light and love
And care for every human being
You never steal, you never kill
You are a part of hope and life
The revolution goes from man to man
And heart to heart
And I sense when I look at the stars
That we are children of life
Death is small.

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La Ballata di Sacco Vanzetti – 2^ Parte
Testo di Joan Baez, Musica di Ennio Morricone
Interpretata da Joan Baez
Sì Padre, son carcerato
Non aver paura di parlare del mio reato
Crimine di amare i dimenticati
Solo il silenzio è vergogna.
 Ed ora ti dirò cosa abbiamo contro di noi
Un’arte che è stata viva per secoli
Percorri gli anni e troverai
cosa ha imbrattato tutta la storia.
Contro di noi è la legge
con la sua immensa forza e potere
Contro di noi è la legge!
La Polizia sa come fare di un uomo
un colpevole od un innocente
Contro di noi è il potere della Polizia!
Le menzogne senza vergogna dette da alcuni uomini
saranno sempre ripagate in denari.
Contro di noi è il potere del denaro
Contro di noi è l’odio razziale
ed il semplice fatto che siamo poveri.
 Mio caro padre, son carcerato
Non vergognarti di divulgare il mio reato
Crimine d’amore e fratellanza
E solo il silenzio è vergogna.
 Con me ho il mio amore, la mia innocenza,
i lavoratori ed i poveri
Per tutto questo sono integro, forte
e pieno di speranze.
Ribellione, rivoluzione non han bisogno di dollari,
Ma di immaginazione, sofferenza, luce ed amore
e rispetto
Per ogni essere umano.
Non rubare mai, non uccidere mai,
sei parte della forza e della vita
La Rivoluzione si tramanda da uomo ad uomo
e da cuore a cuore
E percepisco quando guardo le stelle
che siamo figli della vita
La morte è poca cosa

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The Ballad Of Sacco And Vanzetti-Part Three
Lyrics by Joan Baez, Music by Ennio Morricone
Interpreted by Joan Baez
My son, instead of crying be strong
Be brave and comfort your mother
Don’t cry for the tears are wasted
Let not also the years be wasted
Forgive me, son, for this unjust Death
Which takes your father from your side
Forgive me all who are my friends
I am with you, so do not cry
If mother wants to be distracted
From the sadness and the soulness
You take her for a walk
Along the quiet country
And rest beneath the shade of trees
Beside the music and the water
Is the peacefulness of nature
She will enjoy it very much
And surely you’ll enjoy it too
But son, you must remember
Do not use it all yourself
But down yourself one little step
To help the weak ones by your side
Forgive me, son, for this unjust death
Which takes your father from your side
Forgive me all who are my friends
I am with you, so do not cry
The weaker ones that cry for help
The persecuted and the victim
They are your friends
And comrades in the fight
And yes, they sometimes fall
Just like your father
Yes, your father and Bartolo
They have fallen
And yesterday they fought and fell
But in the quest for joy and freedom
And in the struggle of this life you’ll find
That there is love and sometimes more
Yes, in the struggle you will find
That you can love and be loved also
Forgive me all who are my friends
I am with you
I beg of you, do not cry

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La Ballata di Sacco Vanzetti – 3^ Parte
Testo di Joan Baez, Musica di Ennio Morricone
Interpretata da Joan Baez
Figlio mio, invece di piangere sii forte
sii coraggioso e conforta tua madre
non piangere perché le lacrime sono sprecate
non lasciare che anche gli anni siano sprecati
Perdonami figlio, per questa morte ingiusta
che ti porta via tuo padre
perdona tutti coloro che sono miei amici
io sono con te, quindi non piangere
Se tua madre cerca di essere distratta
dalla tristezza e dalla depressione
portala a camminare
lungo la campagna tranquilla
e riposa sotto l’ombra degli alberi
dove qua e là raccogli fiori
oltre la musica e l’acqua
è la pace della natura
che lei apprezzerà molto
e sicuramente anche tu l’apprezzerai
ma figlio, devi ricordarti
non agire tutto da solo
ma abbassati solo un passo
per aiutare i deboli al tuo fianco
Perdonami figlio, per questa morte ingiusta
che ti porta via tuo padre
perdona tutti coloro che sono miei amici
io sono con te, quindi non piangere
I più deboli che piangono per un aiuto
il perseguitato e la vittima
sono tuoi amici
e compagni nella lotta
e sì, qualche volta cadono
proprio come tuo padre
sì, tuo padre e Bartolo
sono caduti
e ieri combatterono e caddero
ma nella ricerca di gioia e libertà
e nella lotta di questa vita troverai
che c’è amore e a volte di più
sì, nella lotta troverai
che puoi amare e anche essere amato
Perdona tutti coloro che sono miei amici
io sono con te,
ti prego non piangere

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Monologhi dal film di Giuliano Montaldo “Sacco e Vanzetti” (1972)
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nterpretato da Gian Maria Volonté (Bartolomeo Vanzetti) e Riccardo Cucciolla (Nicola Sacco)

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Un’ingiustizia commessa 90 anni fa, che si riflette ancora oggi.

Perché a subirla furono immigrati, e italiani per la precisione, poveri e politicamente scomodi in quanto anarchici.

Due “wops” (without papers, senza documenti, epiteto dispregiativo usato ancor oggi per gli italiani) che non parlavano inglese o quasi.

Due “bastardi anarchici”, come a più riprese li chiamò in aula il giudice Webster Thayer.

Due migranti, come quelli di oggi: poveri e senza voce in capitolo.

Sacco e Vanzetti furono vittime della “politica del terrore” contro i “rossi” che l’America del tempo praticava, con speciale ferocia quando si trattava di immigrati. Una linea di condotta che caratterizzava il clima politico statunitense di quegli anni, instaurata indiscriminatamente contro anarchici, operai, sindacalisti e masse popolari che auspicavano un riscatto sociale.

Gran parte dell’opinione pubblica riteneva che l’appartenenza agli Stati Uniti fosse una questione di sangue e non accettava i nuovi arrivati, ritenendoli individui etnicamente inferiori e non assimilabili perché le loro radici non affondavano nell’Europa Settentrionale.

In particolare, gli italiani erano accusati di essere incivili, sporchi, violenti, dediti al crimine e, in un’ipotetica gerarchia razziale, più simili e vicini ai neri che ai bianchi, a causa del colore olivastro della pelle di molti meridionali e dei loro rapporti secolari con i nordafricani.

Basti pensare che, tra gli ultimi anni del 1800 e i primi del 1900, oltre 30 immigrati italiani, in prevalenza siciliani, vennero linciati, cioè furono colpiti da quella forma di giustizia sommaria popolare che negli Stati del Sud, razzisti, si accaniva sugli afroamericani.

In un momento in cui era fortissimo sia il pregiudizio nei confronti degli italiani, sia quello nei confronti degli anarchici, Sacco e Vanzetti dovettero affrontare un tribunale e un giudice – Webster Thayer che, appunto, li chiamava “bastardi” – fortemente motivati a farli giustiziare. Inoltre il governatore dell’epoca, Alvan Fuller, che avrebbe potuto evitare l’esecuzione, non lo fece per motivi, a quanto si è capito negli anni, puramente politici: cercava la nomination repubblicana alla presidenza degli Stati Uniti.

La vera “colpa” di Sacco e Vanzetti era di essere italiani e anarchici e che di questa loro “fede” non facevano mistero.

Furono molti gli intellettuali di primissimo piano che presero le parti dei due immigrati italiani: da Albert Einstein a George Bernard Shaw, da Bertrand Russell a John Dos Passos, passando per Anatole France.

Persino Benito Mussolini, nonostante l’ideologia politica lo allontanasse da Sacco e Vanzetti, si adoperò perché i due italiani fossero risparmiati.

Ma ogni iniziativa fu inutile: i due trovarono la morte su una sedia elettrica, scatenando indignazione e rivolte.

A novant’anni di distanza, mentre l’appartenenza alla nazione di afroamericani, ispanici e musulmani è messa in discussione nell’America di Trump, la vicenda di Sacco e Vanzetti resta a monito delle aberrazioni dell’intolleranza xenofoba che riaffiora continuamente in un Paese che avrebbe l’ambizione di essere la terra degli immigrati per antonomasia.

Sacco e Vanzetti furono vittime del pregiudizio, della faziosità, dell’intolleranza, della discriminazione, del razzismo e della persecuzione diventati regola di vita.

E noi? Come l’intera Europa, l’Italia si è battuta a lungo affinché fosse fatta giustizia e venisse riconosciuta l’innocenza dei nostri connazionali e riabilitato il loro nome. Noi tutti li ricordiamo tributando loro gli onori che meritano.

Ma cosa si sta facendo col fenomeno della immigrazione nel nostro “Bel Paese”?

Non sta forse spirando un vento che porta la stessa intolleranza xenofoba, la stessa discriminazione, lo stesso razzismo di 90 anni or sono verso gli italiani, contro un’umanità miserabile che fugge dalle terre della disperazione, esseri umani ai quali abbiamo depredato tutto, lasciando loro solo gli occhi per piangere?

Bartolomeo Vanzetti, che conosceva l’inglese meglio di Sacco, pronunciò al giudice queste parole: “Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra, ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole”.

E quando arrivano dal mare uomini, donne, bambini, rischiando la vita, non dimentichiamoci che non sono meno di un cane, un serpente, o la più bassa creatura della Terra, ma esseri umani la cui unica colpa è soltanto la disperazione.

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Scena dal film di Giuliano Montaldo “Sacco e Vanzetti” (1972)
interpretato da Gian Maria Volonté (Bartolomeo Vanzetti) e Riccardo Cucciolla (Nicola Sacco)

Da una lettera di Nicola Sacco al figlio Dante

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Un guerriero può morire, ma non le sue idee.   17 comments

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“Es mejor así, nunca debería haber sido capturado con vida.”
Estas fueron las palabras de Ernesto Che Guevara
cuando se dio cuenta de que iba a ser fusilado.

Él siempre será mi ideal y mi mito!

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In occasione del 50° anniversario dell’assassinio del Comandante Ernesto Che Guevara e dei suoi compagni guerriglieri caduti in Bolivia, il ricordo della figura del Guerrigliero Eroico che, con la sua vita, le sue gesta, il suo pensiero, rimane sempre presente come esempio imprescindibile per chi lotta contro l’imperialismo e l’ingiustizia.

Domenica, 8 ottobre 1967

Il capitano dei Ranger Gary Prado stenta a credere a ciò che gli vanno dicendo. In fondo ad un vallone sperduto nella Bolivia meridionale, su una pietraia invasa dai rovi, ha davanti a sé il guerrigliero più ricercato e più temuto del continente, l’uomo che ha fatto mettere in stato d’assedio l’intero paese. Due soldati lo tengono sotto tiro.

E’ visibilmente spossato. La tuta mimetica cachi sporca, piena di fango, strappata e un giubbotto blu in pessimo stato, che copre appena una camicia a brandelli, cui resta un solo bottone.

L’aspetto di un bandito. Dal collo gli pende un altimetro. Esala un odore forte, un miscuglio acre di tabacco e sudore. Barba, baffi, capelli intrisi di polvere e arruffati gli divorano parte del volto. Ma i suoi occhi continuano a splendere sotto il basco verde scuro. “Il suo sguardo faceva impressione”, osserva Gary Prado che, al momento, finge di non dare eccessiva importanza all’incredibile rivelazione.

Sono le tre del pomeriggio di domenica 8 ottobre 1967. Ma era un’alba gelida quando un contadino era corso al villaggio di La Higuera per dare l’allarme all’esercito. Ora il sole è caldo e, a 1500 metri di altitudine, l’atmosfera limpida. Colpi di arma da fuoco risuonano in un canyon lontano. Lo scontro della quebrada del Churo dura già da quasi quattro ore. Accanito.

Tre pallottole di mitragliatrice hanno raggiunto Guevara senza metterlo in reale difficoltà. Una ha soltanto perforato il basco, l’altra ha reso inservibile la canna del fucile M-1 che gli serve da appoggio. La terza l’ha colpito al polpaccio destro, in basso. Non ha più scarpe. I piedi sono avvolti in pezze di pelle cuciti a mano in modo approssimativo.

Un filo di sangue gocciola lungo la caviglia.

“Sono Che Guevara”, ripete con voce ferma.

Il capitano scorre i molti ritratti di guerriglieri in dotazione ai Ranger. Con i suoi uomini, ha appena terminato un periodo di addestramento intensivo durato cinque mesi. Alcuni “Berretti Verdi” statunitensi, esperti in tecniche antiguerriglia, veterani del Vietnam, sono venuti appositamente dal campo di Fort Bragg e da Panama per perfezionare l’addestramento delle truppe boliviane. E lui stesso ha partecipato ai corsi di intelligence che la CIA ha riservato agli ufficiali.

I ritratti, molto rassomiglianti, sono stati eseguiti da un guerrigliero occasionale: il pittore argentino Ciro Bustos che Guevara aveva chiamato in Bolivia perché aderisse alla guerriglia. L’argentino, arrestato sei mesi prima a centocinquanta chilometri da lì, ha immediatamente raccontato tutto e anche qualcosa in più. Il suo arresto é avvenuto assieme a quello di Regis Debray, il cui processo, a Camiri, ha suscitato grande scalpore in tutto il mondo. Bustos ha tracciato con precisione i lineamenti di ciascuno dei membri della guerriglia.

Prado verifica con attenzione. Le caratteristiche protuberanze delle arcate sopraccigliari lasciano pochi dubbi. Per ulteriore conferma chiede al prigioniero di mostrare il dorso della mano sinistra, dove risalta la cicatrice. E’ il Che.

Ha catturato una leggenda…

Lunedì, 9 ottobre 1967

Appoggiato alla meglio su uno dei piccoli banchi della scuola, il Che è oramai allo stremo. E’ quasi un giorno che subisce angherie, torture, interrogatori. Sempre però i suoi aguzzini entrano baldanzosi e escono con la testa bassa. Di piegarlo o di farlo parlare non c’è verso, e spesso, è lui che mette in crisi le loro coscienze riaffermando sempre la sua dignità e il suo coraggio. A chi lo accusa o lo insulta, lui risponde con calma e fierezza, fissandoli dritto negli occhi, facendogli sentire vergogna per quello che stanno facendo, e rimorso per quanto si sono asserviti a un potere stupido e violento che li usa come dei boia contro i loro fratelli. Ha perso la calma solo una volta, di fronte a un traditore cubano che si è venduto alla CIA. Con la forza restante che aveva, gli ha dato un pugno e sputato in faccia. Poi lo hanno legato e picchiato. Dopo un ufficiale, più umano degli altri, lo ha fatto sciogliere, bere dell’acqua e gli ha offerto un sigaro. Gli ha raccontato che ha un fratello comunista, che anche lui è qui solo perché deve vivere. Da quel momento in poi lo hanno lasciato in pace, dolorante e debole per la ferita, con il petto a pezzi per l’asma.

Pensa a che fine hanno fatto i suoi compagni. Li crede quasi tutti in salvo. Non può sapere che i quatto feriti e Pablito, che ha solo ventidue anni ed è il più giovane dei guerriglieri, tra poco cadranno in un altro agguato e saranno finiti a colpi di mitra; né che un piccolo gruppetto capeggiato da Pombo è riuscito a rompere l’accerchiamento e ora marcia, soffrendo e combattendo, verso il Cile, dove saranno salvati dal futuro presidente Allende.

Gli riappaiono i volti di tutti quelli che hanno combattuto con lui e che sono caduti lungo il cammino della rivoluzione. Sono tanti, quasi tutti suoi amici.

Ricorda i mille posti del mondo che ha visto, con una sterminata umanità che ci vive, soffrendo soprusi, ingiustizie, violenza. Per questa gente si è battuto e ora sta per morire. Ha voluto dimostrare che i poveri e gli emarginati, i deboli e i diversi, hanno la fierezza di ribellarsi e la forza di vincere. Se lui non c’è riuscito ci saranno altri che continueranno. E’ pronto a morire senza alcun rimpianto. E’ una cosa normale, lo sapeva che poteva accadere questo.

Sua moglie e i suoi figli capiranno tutto questo? Le loro immagini gli toccano il cuore. I suoi bambini! Qualcuno è così piccolo che non si ricorderà di lui. Vorrebbe avere la possibilità di poterli ancora una volta stringere a sé.

Ma il dolore lo scuote, la ferita continua a perdere il sangue, la febbre a salire. Ora è quasi in delirio. Come dopo il suo sbarco a Cuba, quando credeva di essere moribondo, adesso il suo pensiero galoppa.

Ad un tratto la porta si apre e capisce che è venuta l’ora.

L’uccisione del Che, decretata in alto loco, fu affidata ad un giovane soldato, Mario Terran.

Al suo esitare il Che gli gridò “Dispara, cojudo, dispara! Cierra los ojos y dispara!” . Erano le ore 13. Ernesto Che Guevara aveva trentanove anni.

Ernesto Guevara de la Serna, il “Che”, è stato il frutto di circostanze soggettive e storiche che, intersecandosi con una personalità sensibile e complessa, sviluppata in un ambiente intellettualmente fecondo, ne hanno fatto un moderno eroe.

Fonte: http://www.siporcuba.it/tributo.htm

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Joan Baez

Hasta siempre Comandante Che Guevara

di Carlos Puebla

 Aprendimos a quererte
desde la histórica altura
donde el sol de tu bravura
le puso un cerco a la muerte.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

 Tu mano gloriosa y fuerte
sobre la historia dispara
cuando todo Santa Clara
se despierta para verte.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

 Vienes quemando la brisa
con soles de primavera
para plantar la bandera
con la luz de tu sonrisa.

 Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Tu amor revolucionario
te conduce a nueva empresa
donde esperan la firmeza
de tu brazo libertario.

 Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Seguiremos adelante
como junto a ti seguimos
y con Fidel te decimos:
hasta siempre Comandante.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

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