La tristezza è un’ emozione contraria alla gioia e alla felicità ma del tutto naturale: essa può essere provata durante la vita di tutti i giorni, oppure a causa di un evento particolarmente drammatico, come una perdita o un lutto.
La tristezza, da sempre dipinta come un’emozione spiacevole di cui liberarsi, è invece parte della condizione umana ed è funzionale per godere della felicità e per un corretto sviluppo emotivo.
La tristezza conduce ad una più profonda introspezione funzionale a guardarsi dentro e fare il punto su di sé, per poi andare avanti.
Non ci si deve vergognare di manifestare la propria tristezza. Reprimere questo stato emotivo comporta solo disagio, rabbia, frustrazione e non fa altro che alimentare il proprio malessere.
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“Non sono una macchina da guerra,
io ho un cuore, un’anima, dei sentimenti e non ho un tasto off-on”
Parlami, amico
Ascolta ciò che dico
Se non mi parli il cielo
Resta tagliato in due
E le parole amare, mie e tue
Poi diventano un mare
Che non sappiamo più attraversare
Ma se prima che tutto si rovini
Ci sediamo vicini
E ne parliamo insieme
Allora le parole sono un seme
Che poi diventa un albero
Che poi diventa un bosco
Dove mi riconosci, e io ti riconosco
E senti ciò che dico
Ci pensi, e se ti piace
Tu ritorni mio amico:
E questa qui è la pace.
L’invasione, le malattie, il terrorismo, l’Italia senza soldi, la Chiesa che ci guadagna… Tutte le sciocchezze che ci raccontano quelli che hanno contribuito a creare il problema immigrazione.
di Fulvio Scaglione
Per quanto la cosa dispiaccia ai soliti noti, la Chiesa italiana tiene alta l’attenzione sul tema dell’immigrazione e delle responsabilità di chi sarebbe chiamato a produrre soluzioni e non retorica. Ieri il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha dato uno scossone anche alle Nazioni Unite: “Mi chiedo”, ha detto il cardinale, “se questi organismi internazionali come l’Onu, in particolare, che raccoglie il potere politico ma anche finanziario, hanno mai affrontato in modo serio e deciso questa tragedia umana”.
Purtroppo i soliti noti godono di un innegabile vantaggio: la loro merce è assai più facile da smerciare. E’ merce che fa male alla salute (degli individui e del Paese) ma “va” di più. Proprio come le patate fritte: fanno malissimo ma sono uno dei cibi più consumati. D’altra parte sono esperti nel vendere bufale. Sono gli stessi, per fare un esempio, che per un po’ vendettero la paura del crimine e convinsero un po’ di gente che senza le pattuglie dei militari nelle città non si poteva campare. Anzi, ci volevano pure le ronde padane per sopravvivere. Era una bufala, i reati sono in costante calo (meno 7,7% nel 2014; meno 9,3 nell’ultimo anno, con le rapine a meno 12% e i furti a 5,6%) ma le grida di allora sono indimenticabili.
Adesso si replica, con l’immigrazione. Raccontando, tra le tante bufale, anche quella che l’arrivo degli immigrati farebbe crescere i reati, che invece, come sappiamo bene, sono in calo. Mentre non si è vista traccia di ebola tra i migranti, che avrebbero dovuto portarci ogni sorta di malattia, per non parlare delle orde di terroristi dell’Isis che avrebbero dovuto nascondersi sui barconi, travestiti appunto da migranti.
Ma l’ordinaria xenofobia, come le patatine fritte nell’olio marcio, vende bene. Basta avere il coraggio di spacciar l’interesse di partito per interesse nazionale, e sfruttare senza pietà le paure della gente. Anche i film horror, tra l’altro, vendono bene.
Non è difficile andare in Tv e parlare di “invasione”. Nonostante questo, però, non è vero che ci sia un’invasione in corso: dal 1 gennaio al 15 agosto dell’anno scorso, sbarcarono sulle nostre coste 104.255 persone; quest’anno, nello stesso periodo, ne sono sbarcate 103.226. Sappiamo anche che la maggior parte di loro lascerà il nostro Paese. E’ un’emergenza, è chiaro, ma è stabile. E con quei numeri un Paese di 60 milioni di abitanti può parlare di “invasione”?
E per quanto l’emergenza sia seria, per quanto si drammatizzi spesso ad arte, non c’è “invasione” nemmeno nel resto d’Europa: l’anno scorso nella Ue sono entrate 650 mila persone e ne sono state espulse 400 mila. Saldo attivo di 250 mila persone per una comunità di 500 milioni di persone. Chi può seriamente parlare di invasione?
Altra panzana che però funziona, e i soliti noti lo sanno bene: l’Italia non ha le risorse per occuparsi dei migranti, anzi: se si occupa dei migranti è costretta a trascurare i nostri giovani, i pensionati, i disoccupati. E’ tanto, tanto curioso che questo argomento faccia presa in un Paese in cui l’evasione fiscale è un fenomeno di massa e brucia ogni anno 150 miliardi, e la corruzione generalizzata un altro bel po’ di soldi.
Anche perché per i migranti si spende ma al confronto briciole: secondo i calcoli della Fondazione Ismu, specializzata in questo genere di studi,l’intera operazione Mare Nostrum, che salvò la vita a 80 mila persone, costò a ogni italiano l’equivalente di 1 euro e 90 centesimi. Mentre assistere 60 mila migranti nella rete di accoglienza messa in piedi dal Governo ( i famosi 35 euro al giorno ecc. ecc.) costa a ogni italiano, in un anno, l’equivalente di 11 caffé. Ma forse, secondo i soliti noti, è proprio con questi caffé che campano i nostri disoccupati e pensionati.
D’altra parte, non parlate di evasione fiscale ai piazzisti: loro, quando stavano al Governo, l’evasione la “scudavano” e la perdonavano volentieri. Una mano di bianco e non c’era più.
Sempre per la serie: panzane da piazzista. Non è vero che sono profughi, sono migranti economici, gente che viene qui per rubarci il pane. Ma i dati che cosa dicono? Proprio il contrario: tra gli sbarcati nel 2015 la prima nazionalità è quella dell’Eritrea(Paese-lager, retto da una dittatura spietata, dove i diritti civili sono di fatto aboliti: 25.657 persone), seguita da Nigeria (Boko Haram, la milizia islamica che massacra la gente e i cristiani in particolare, mai sentito nominare? 11.899 persone), Somalia (decenni di guerra e anarchia violenta, terrorismo islamico degli shabaab; 7.538 persone), Sudan (decenni di guerra e distruzioni, 5.658 persone) eSiria (guerra e Isis; 5.495 persone). Altro che migranti economici.
Moltissime di queste persone arrivano da noi passando per la Libia, che da tempo ha cessato di esistere in quanto Stato unitario. E’ precipitata nel caos da quando, nel 2011, gli Usa di Obama, la Francia di Sarkozy e la Gran Bretagna di Cameron decisero che bisognava far la guerra a Gheddafi e buttar giù il suo regime. Anche l’Italia, che poco prima si era acconciata a soddisfare tutti i capricci del Colonnello, si accodò alla spedizione e concesse le proprie basi per i bombardamenti. E chi c’era al Governo, allora? Sorpresa: i soliti noti di oggi, quelli che vanno a caccia di voti speculando sulla paura dei migranti. Provocano un’emergenza e poi la sfruttano, bravi davvero.
E poi, certo, spiegano a che li vuol sentire che chi la pensa diversamente, prima fra tutte le Chiesa, o non capisce o ci guadagna. Proprio loro, che vivono di soldi pubblici e che nel pubblico impiego hanno trovato modo di sistemare amici a parenti. La sola Caritas accoglie nelle sue strutture circa 20 mila persone, il 10% di tutti gli arrivi, sgravando lo Stato di un bel peso, e avrebbe diritto a un monumento in ogni piazza, altro che farsi criticare. La rete delle parrocchie ha creato circa 1.500 diversi servizi per l’assistenza agli immigrati, senza chiedere un soldo allo Stato. Le circa 500 mense per i poveri allestite da organizzazioni che si richiamano alla Chiesa cattolica distribuiscono ogni giorno circa 10 milioni di pasti. I soliti noti strillino pure. Da queste parti abbiamo cose più serie da fare.
Fonte: famigliacristiana.it/
Martedì, 18 Agosto 2015
Chiedo venia, ho scoperto solo stasera questi tuoi pezzi, sono quasi due ore che li leggo e mi piacciono uno dopo l’altro sempre di più … ma questo!, questo è troppo … troppo bello, sto ancora ridendo da sola come una matta, lo ribloggo …
Sono certa che esiste tanta “coscienza sotterranea” che non ha possibilità di esprimersi, persone oneste e con valori che i nostri governanti hanno dimenticato completamente. E condivido l’idea che spetta proprio a tutte queste persone trovare la forza e il coraggio di fare scelte precise, uscendo dall’anonimato e appoggiando apertamente chi sta lavorando con onestà e coerenza per rifondare una giustizia sociale. Stimo e ammiro Maurizio Landini, forse la sua “Coalizione Sociale” non sarà quella che riuscirà a risolvere i problemi del nostro Paese, ma quello che è certo è che è composta da persone oneste, che lavorano ogni giorno con fatica in questa direzione, per riconquistare una giustizia sociale e una democrazia scomparse, soffocate dal degrado. E in questo senso va sostenuta e non lasciata sola.
Sto meditando sul nuovo “slogan” del governo, che pare già sia in campagna elettorale [sic!].
Tutto questo non ci sorprende, se pensiamo che è da quando questi si sono insediati che coniano uno slogan al giorno per convincere la gente sulla loro indispensabilità. Indispensabilità che non ritroviamo nei risultati economico/sociali che sono del tutto scadenti: anzi, sono peggiori di quando andavano entusiasti di quel 40,8%, praticamente fasullo, che giustificava la loro “svolta” a destra.
Oggi ,dicevo, “lo slogan” in voga è: se non ci riconfermate finisce che al governo ci andrà Salvini o Grillo, ovvero “non ci sono alternative”. Niente di più falso e di tendenzioso. E’ vero che c’è un’ondata xenofoba e razzista che sostiene sia il leader della Lega che quello del M5S: il loro cavallo di battaglia è la lotta al “clandestino”. Però è anche vero che messe insieme le due forze…
Una sera a cena … una pizza prima dello spettacolo … un tavolo a quattro … Olga Durano, Syusy Blady, Iskra Menarini ed io … chiacchiere divertenti fra donne, e poi … palcoscenico!
Spettacolo entusiasmante, fantastici pezzi comici, scene esilaranti tra il pubblico, serata “movimentata” e magica … Musica, blues favoloso, e soprattutto … la grande voce di Iskra …
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“Quasi amore”
di L. Dalla – M. Alemanno – R. Costa
Ed. Pressing Line – Bologna
Sei mai stato in cima a un monte a vedere il cielo? Quando hai bisogno di un po’ di libertà Lo sai, qui in basso è un caldo, un caldo dell’inferno E che mediocrità… La mia vita Con ogni sua ferita Per ogni istante di quasi amore Rimane un po’ di dolore E chissà… Dov’è l’amore vero, se c’è? Quello uguale al cielo dov’è che parto? Parto per cercarlo, per portarlo via con me Da te che sei anche tu come me Ognuno col suo sbaglio
Ma ti ho sempre dentro di me Ogni notte chiudo gli occhi per guardarmi dentro Poi li apro e vedo quello che ho intorno Ed aspetto solo che ritorni il giorno Per sapere che La mia vita E’ come un film déjà vu Ogni ferita, ogni male al cuore E’ pur sempre amore Perché… Dov’è l’amore vero se c’è? Quello uguale al cielo dov’è che parto? Parto per cercarlo, per portarlo via con me Solo per me che sono ormai così lontana da te Difendendo ogni mio sbaglio, così Io vivrò!
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Iskra Menarini nasce a San Felice sul Panàro il 5 maggio del 1946, dal padre Cesare di nazionalità francese ma figlio di un italiano e dalla madre Anna Polloni. Ha anche un fratello di nome Sergio, quattro anni più grande di lei. Qui trascorre la sua infanzia, studiando per diventare perito agrario.
Nel 1962, all’età di sedici anni si trasferisce con la famiglia nel comune di Sanremo, dove rimarrà per sei anni. Qui ha inizio il suo lungo percorso artistico grazie alla passione per il teatro, la danza e per la musica che la portano ad apprendere lezioni di chitarra classica, danza e recitazione.
Partecipa al Festival di Castrocaro 1963, non riuscendo a classificarsi per la fase finale; questa partecipazione però le consente di ottenere un contratto discografico con la MCR, casa discografica milanese, che la fa debuttare l’anno successivo con il suo primo 45 giri, Quello/Domani sera.
A ventidue anni si trasferisce da sola a Bologna per studiare canto lirico e qui conosce Andrea Mingardi, ma l’incontro che cambia sicuramente il suo modo di cantare e di ascoltare musica è l’incontro con i Tombstones, un gruppo bolognese che le fa scoprire la musica rock, con cui incide un 45 giri per la Cobra Record, Mi ripenserai/Capelli al vento, e con cui partecipa al I Festival di musica d’avanguardia e di nuove tendenze nel 1971.
Rimane in questo gruppo dieci anni, partecipando a vari festival. In questo contesto incontra e conosce Red Ronnie con il quale comincia un rapporto di amicizia, cantando in giro e debuttando al Piper Club di Roma.
Successivamente canta nell’opera rock Giulio Cesare scritta da Jimmy Villotti e si avvicina al jazz, più sperimentale, al soul e blues; nel 1978 partecipa all’incisione dell’album di debutto di Vasco Rossi, … Ma cosa vuoi che sia una canzone …, come corista.
L’incontro con Lucio Dalla l’ha portata a una lunga collaborazione come sua vocalist e per 24 anni lo affianca nelle tournée, nelle trasmissioni televisive e in diversi video musicali, come Ciao, Attenti al lupo, Lunedì e in Tosca – Amore disperato.
Contemporaneamente canta in tour e in televisione anche con Gianni Morandi ed è ospite di Paola Perego su Canale 5.
A 62 anni partecipa al Festival di Sanremo 2009, presentato da Paolo Bonolis, cantando Quasi amore, su testo di Lucio Dalla e Marco Alemanno e musica di Roberto Costa.
Partecipa anche come insegnante per un periodo nella trasmissione Amici di Maria De Filippi, lasciando però il ruolo dopo poco tempo per proseguire più liberamente la propria carriera musicale.
Sempre nel 2009 prende parte all’album di Lucio Dalla Angoli nel cielo.
Per beneficenza si esibisce in un raduno con diversi artisti per il restauro di sette chiese di Bologna e con I Jails per la raccolta fondi per L’Aquila.
Nel 2013 produce l’album Ossigeno: un viaggio nell’anima, presso gli studi SanLucaSound con Renato Droghetti, Manuel Auteri e Bruno Mariani. L’album è un percorso nella sua vita musicale con nuovi brani inediti da lei composti e qualche cover in ricordo di Lucio Dalla. Al disco hanno collaborato Renato Zero, Gianni Morandi, Gigi D’Alessio, Andrea Mingardi, Sabrina Ferilli, Lino Banfi, Stefano di Battista, Il piccolo Coro dell’Antoniano, Gergo Morales e Marialuce Monari.
È sposata con Alfredo Parmeggiani, un ex pugile. Dalla loro unione nasce Cristiano Parmeggiani.
Count on me through thick and thin
A friendship that will never end
When you are weak, I will be strong
Helping you to carry
Call on me, I will be there
Don’t be afraid
Please believe me when I say
Count on
I can see it’s hurting you
I can feel your pain
It’s hard to see the sunshine through the rain oh
I know sometimes it seems as if it’s never gonna end
But you’ll get through it
just don’t give in
Count on me through thick and thin
A friendship that will never end
When you are weak, I will be strong
Helping you to carry on
Call on me, I will be there
Don’t be afraid
Please believe me when I say
Count on
You can count on me, oh yes you can
I know sometimes it seems as if
we’re standing all alone
But we’ll get through cause love wouldnt let us fall
Count on me through thick and thin
A friendship that will never end
When you are weak, I will be strong
Helping you to carry on
all on me, I will be there
Don’t be afraid
Please believe me when I say
Count on
There’s a place inside of all of us
Where our faith in love begins
You should reach to find the truth in love
The answers there within
I know that life can make you feel
It’s much harder than it really is
But we’ll get through it
Just (just) don’t (don’t) give in
Count on me through thick and thin
A friendship that will never end
When you are weak, I will be strong
Helping you to carry on
Call on me, I will be there
Call on me, I will be there
Don’t be afraid
Please believe me when I say
Count on
Count on
Count on
Count on
Count on
Count on
Count on
Ohh yes you can, I know I can, sure I can, so glad I can, so glad I can, Count on me ***
Conta su di me
Conta su di me nella buona e nella cattiva sorte
Un’amicizia che non finirà mai
Quando sei debole, sarò forte
Aiutandoti ad andare avanti
Rivolgiti a me, io ci sarò
Non avere paura
Per favore credimi quando ti dico
Contaci
Posso vedere che ti fa star male
Posso sentire il tuo dolore
E’ difficile vedere il sole attraverso la pioggia
So che qualche volta sembra non finire mai
Ma lo supererai
Solo non mollare
Conta su di me nella buona e nella cattiva sorte
Un’amicizia che non finirà mai
Quando sei debole, sarò forte
Aiutandoti ad andare avanti
Rivolgiti a me, io ci sarò
Non avere paura
Per favore credimi quando ti dico
Contaci
Puoi contare su di me, oh si puoi
So che certe volte sembra che
Siamo da soli
Ma lo supereremo perchè l’amore non ci farà cadere
Conta su di me nella buona e nella cattiva sorte
Un’amicizia che non finirà mai
Quando sei debole, sarò forte
Aiutandoti ad andare avanti
Rivolgiti a me, io ci sarò
Non avere paura
Per favore credimi quando ti dico
Contaci
C’è un posto dentro a tutti noi
Dove inizia la nostra fede nell’amore
Dovresti trovare la verità nell’amore
Le risposte lì dentro
So che la vita può farti sentire
Che sia più difficile di quanto sia
Ma noi lo supereremo
Solo non mollare
Conta su di me nella buona e nella cattiva sorte
Un’amicizia che non finirà mai
Quando sei debole, sarò forte
Aiutandoti ad andare avanti
Rivolgiti a me, io ci sarò
Rivolgiti a me, io ci sarò
Non avere paura
Per favore credimi quando ti dico
Contaci
Contaci
Contaci
Contaci
Contaci
Contaci
Contaci
Si tu puoi, so che puoi, sicuro che puoi, sono così contento, conta su di me
Uno degli eventi più tradizionali in provincia di Mantova si svolge a Curtatone nel mese di agosto, si tratta dell’Antica Fiera delle Grazie nel periodo di Ferragosto.
Ogni anno il 15 agosto in coincidenza con una delle maggiori feste che la Chiesa dedica alla Madre di Dio nel giorno della sua Assunzione, si rinnova l’antichissima Fiera delle Grazie, le cui origini risalgono al 1400.
Il nome del Borgo deriva dalla presenza di un luogo di culto chiamato dal 1362 Santa Maria delle Grazie e documentato dal 1037. L’odierno santuario si trova nel punto in cui sorgeva la chiesa medievale di Santa Maria di Reverso.
Il nucleo storico di Grazie è rappresentato dal Santuario della Beata Maria Vergine delle Grazie e dagli edifici posti sul perimetro della piazza antistante. La parte più antica è quella delle abitazioni a schiera in via Madonna della Neve, nelle quali si riconosce – nonostante le trasformazioni avvenute – la cellula originaria che diede luogo nel tempo alle varie tipologie edilizie. Case di pescatori, dunque, e case sorte dalla chiusura dei portici che contornavano la piazza, come quelle sul lato destro della stessa, che ospitavano botteghe e ricoveri per i pellegrini. All’ingresso della piazza si nota un edificio liberty, Palazzo Sarto.
Il santuario, in posizione rialzata sui canneti del Mincio, ha il fiume che gli scorre alle spalle e la facciata rivolta verso il borgo. Iniziato nel 1399 e consacrato nel 1406, è in stile gotico lombardo, ingentilito da una loggia composta di tredici archi a tutto sesto sostenuti da quattordici colonne. Le lunette sotto il porticato, affrescate nel Seicento, raccontano la storia del luogo. La pianta è rettangolare a una sola navata senza transetto. L’architetto è stato identificato in Bartolino da Novara, lo stesso che progettò il castello di San Giorgio a Mantova.
Varcata la soglia della chiesa, si è colti da stupore profondo. Una folla di statue ex-voto sembra protendersi verso lo spettatore dalle nicchie in cui sono collocate. Le sculture fanno da quinta a un teatro dei miracoli cinquecentesco e barocco. Pare che l’impalcato ligneo a doppia loggia sia stato costruito nel 1517 da frate Francesco da Acquanegra per mettere ordine ai molti doni votivi accumulati negli anni: grucce e schioppi dei miracolati, ex voto anatomici in cera (mani, occhi, seni, bubboni pestiferi, dei quali i fedeli chiedevano la guarigione) e infine figure in legno, stoffa e cartapesta di pellegrini illustri, di devoti imploranti una grazia o di scampati da pericoli mortali. Ci sono le nobildonne, ma anche una figura femminile con cappello di paglia chiamata, per l’aspetto dimesso, “la miseria delle Grazie”; ci sono il cardinale, soldati in abiti cinquecenteschi, il salvato dall’affogamento, il salvato dall’impiccagione, il boia; e ghirlande, bizzarrie barocche, la cera usata come decorazione, così spagnolesca. I frati rimpiazzavano le povere rivestiture di stoffa che andavano in pezzi: uno di loro, Serafino da Legnago, è raffigurato nella nona statua a destra dall’ingresso della navata.
Su ottanta nicchie, ne restano 53 contenenti la scultura. Il tutto fa pensare a una Wunderkammer (casa delle meraviglie), uno di quei musei eclettici del Cinque e Seicento, dove gli oggetti erano contenuti in armadi e scansie o appesi alle pareti e al soffitto, come il coccodrillo impagliato d’inizio Quattrocento, segno del demonio che fugge davanti alla Madonna.
Le cappelle della chiesa custodiscono straordinari monumenti sepolcrali, come quello – a firma di Giulio Romano (1529) – in cui riposa, nella cappella di famiglia decorata a grottesche, Baldassarre Castiglioni, intellettuale e diplomatico, autore di uno dei libri più letti del tempo, Il Cortegiano. Il bellissimo Martirio di San Sebastiano di Francesco Bonsignori (1495), allievo di Andrea Mantegna, adorna la cappella Zibramonti. Il monumento di Bartolomeo Pancera è un’opera d’inizio Seicento attribuita ad Antonio Maria Viani.
Magnifica è la decorazione delle vele delle volte, di gusto gotico internazionale. Nell’altare maggiore (1646) sopra il tabernacolo è inserita l’icona miracolosa della Madonna delle Grazie adorata dai pescatori, una tavola su pioppo di anonimo quattrocentesco che mescola tratti popolari con echi bizantini. Nella sacrestia sono conservate numerose tavolette votive dipinte tra Seicento e Ottocento.
La storia del santuario, della fede che lo circonda e dell’affollata Fiera delle Grazie, che si svolge a metà agosto, si perdono nelle nebbie del passato.
Tanto tempo fa, proprio qui sulle rive del Mincio, non lontano da Mantova, tra canne palustri e inestricabili canali c’era un rudimentale tempietto con dentro l’immagine della Vergine.
Chi abitava nel vicino, piccolo borgo, per lo più boscaioli e pescatori, veniva spesso ad adorare la sacra effigie, a chiedere qualche grazia, e a volte la Madonna li esaudiva. Così loro, per ringraziare, ritornavano ogni volta a pregare e a offrire ex voto. La fama della Madonna del Mincio che faceva miracoli tra voli d’uccelli e guizzi di pesci, valicò ben presto quei piccoli confini. Così incominciarono ad arrivare anche mercanti, nobili, persino principi e sovrani.
Uno di loro, Francesco Gonzaga, per scongiurare l’incubo della peste, era il 1399, fece addirittura il voto di innalzare un sontuoso tempio. E già nel 1406 era pronto per stupire.
Vi si insediò un’operosa e devota comunità di francescani, mentre sul grande piazzale del santuario, di pari passo con l’affluire dei pellegrini, crebbe a dismisura una fitta, brulicante attività di commercianti, girovaghi e avventurieri.
Era un caos, tanto che l’11 agosto 1425 il marchese Gianfrancesco Gonzaga istituì il libero mercato delle merci di Grazie, pubblicando la prima grida che regolamentava i traffici. Per esempio stabiliva la distanza della fiera dal santuario, il tipo di merce che si poteva esporre e il relativo prezzo.
Oggi come allora, davanti al tempio, nel cuore dell’infuocata estate mantovana, il sacro e il profano s’incontrano: i madonnari coi gessetti da una parte, la festa con le bancarelle dall’altra.
Lasciando questo luogo dei miracoli in cui s’intrecciano fede, suggestione, scenografia del sacro, istinti profondi, si scende “là dove il Mincio si disperde in giri lenti e contorti orlando le rive di canne flessuose ” (Virgilio, Georgiche, III). Dal fiume, il santuario – che i pellegrini e i Gonzaga raggiungevano più in barca che via terra – appare come una visione di linee tondeggianti e slanciate sul ciglio di una vasta distesa di canneti.
Oggi il vanto di Grazie è il fiore di loto che nei mesi di luglio e agosto fa la sua lussureggiante apparizione sul Lago Superiore. Il loto è stato importato dall’Oriente nel 1921 da una naturalista mantovana.
Un tempo i prodotti del borgo erano quelli ricavati dalla coltivazione della canna palustre, come le “arelle”, usate soprattutto come coperture leggere per i controsoffitti, e il carice, con cui s’impagliavano sedie e fiaschi.
Un piccolo borgo ma oggi con tanti ristoranti dove provare il famoso luccio in salsa, piatto principe di una cultura gastronomica legata ai cibi di terra della tradizione contadina e ai cibi d’acqua dolce dei pescatori.
Ogni anno il 13 agosto, la sfilata storica per le vie del borgo delle Grazie inaugura la tradizionale Fiera che anima uno dei “Borghi più belli d’Italia” fino al 17 agosto. L’antichissima fiera è un appuntamento imperdibile nell’estate mantovana, moltissimi eventi, connubio tra fede, arte, cultura, gusto e intrattenimento. Mentre si visita la fiera e si fanno acquistipresso i numerosi banchetti non si può non ammirare il Borgo. A lato della piazza vi è una viuzza che porta al porticciolo sul lago. In questo ampio angolo di verde, durante la Fiera viene allestito l’accampamento medievale.
Dalla sua fondazione, circa 600 anni fa, protagonista della Fieraè il suo grande mercato e negli ultimi anni l’incontro nazionale dei madonnari è un’altro punto forte: più di 100 artisti “Madonnari” si prodigano, per una notte e l’intero giorno successivo, nella realizzazione di opere suggestive ed emozionanti, che trasformano il Sagrato del Santuario in una “galleria dell’effimero” unica al mondo. E’ questa la magia che si ripete ogni anno, nella notte del 14 e nel giorno del 15 agosto, festa dell’Assunta.
Dal 1973, anno del primo raduno, i madonnari arrivano da tutto il mondo: Stati Uniti, Ecuador, Spagna, Germania e via dicendo. Pochissimi i maestri, pochi i qualificati, la maggior parte madonnari semplici.
Guardandoli lavorare sembrano padroni solo di sé stessi, silenziosi, immersi in mille piccole solitudini. In realtà interpretano nel modo migliore il senso profondo del raduno. Il loro incontro multietnico è un messaggio di solidarietà, pace e coraggio e anche un invito ideale alla tutela e alla conservazione di quest’antica forma d’arte, sacra e popolare insieme.
Alcuni anni fa, ne arrivò un nutrito gruppo dalla California. Per questi artisti d’oltreoceano mostrare una fotografia che li ritrae al lavoro davanti al santuario di Grazie è segno di prestigio e spesso un notevole lasciapassare professionale.
Tutti i madonnari, italiani e stranieri, incominciano a realizzare i loro capolavori sul far della sera del 14 agosto, subito dopo che il vescovo di Mantova ha effettuato la rituale benedizione dei gessetti. Un po’ di anni fa, nel giugno del 1991, andò in visita al santuario Papa Giovanni Paolo II, il quale si inginocchiò e tracciò sul selciato dei piccoli segni grafici che oggi fanno parte del logo del Centro Italiano Madonnari.
Dopo la benedizione, quando il sole è tramontato e il caldo si fa più tollerabile, i madonnari incominciano a lavorare nel quadrato loro assegnato e chi ce la fa tira diritto per tutta la notte, alla luce dei fari, uno di fianco all’altro in file parallele. Loro sono artisti che vengono a dare spettacolo di pittura, e vanno ammirati mentre lavorano. I madonnari sono ritenuti gli eredi dei pittori di icone bizantine del tardo Medioevo, quei personaggi sempre al verde ma pieni di estro che adoperavano i colori ricavati da terre e pigmenti naturali, senza collante, per riprodurre le opere dei grandi maestri del rinascimento, esponendoli alla vista degli uomini di tutte le categorie sociali.
Uno di questi bazzicava Venezia intorno al 1500, si chiamava Domenico Theotokópulos, ma tutti lo chiamavano El Greco.
La loro era una sorta di inconsapevole missione spirituale che purificava e istruiva di porta un porta, di villaggio in villaggio. I madonnari del nuovo secolo, quelli doc (ormai sempre più rari) sono “cantastorie di strada” e come i girovaghi di un tempo vivono delle offerte dei passanti. Perciò sono spesso visti come accattoni senza meta da guardare con sospetto. Solo da poco sono stati tolti dal ghetto dell’emarginazione grazie ad alcuni interventi del Ministero dei Beni Culturali. Sono diventati artisti con una dignità professionale, ma resta ancora molto da fare.
In ogni caso, alle Grazie, se ne trova ancora un gran bell’assortimento. Visitare questo luogo è anche il modo di entrare in un’altra dimensione. Girando intorno ai madonnari ci si accorge presto che il mondo visto dal basso ha proprio tutta un’altra prospettiva. Capita di veder spuntare dal cemento un’icona mariana dell’ottavo secolo, una Madonna del Perugino in una magica atmosfera virginale, la mano protesa della Madonna di Raffaello o qualche Vergine del Settecento liberamente interpretata. Il tema del raduno, l’iconografia cristiana, è rigidamente stabilito fin dalle origini: non è mai cambiato. E i madonnari di ogni latitudine, anche se di diversa religione, si adattano sempre alla regola. Realizzano opere di soggetto sacro o devozionale, riproducono con maestria i capolavori del passato o traggono ispirazione dalla Bibbia, dal Vecchio o dal Nuovo Testamento.
L’importante è stupire, lasciare su piazze e marciapiedi una effimera ma gradevole impronta che attiri l’attenzione e desti meraviglia, prima di dissolversi nel nulla.
In questa notte silenziosa di Ferragosto, in cui affiorano i ricordi di tante magiche estati della mia giovinezza, dei palcoscenici, della musica, degli spettacoli, degli artisti che per tanti anni mi hanno accompagnato, voglio salutare Lucio, che sta cantando tra le stelle del cielo, una stella luminosa sopra il mare.
Lucio per me, come per tanti, non è mai morto: è rimasto come un’ombra bassa che gira la sua Bologna, tra piazza Grande e Via Indipendenza, che naviga il suo mare che amava tanto.
A morire proprio non pensava, e chi lo fa del resto? Sembrava eterno, con quei suoi occhi da Elfo che sembravano guardarti dentro e sorridere di ciò che vedevano. Un uomo fiero, ironico, molto emiliano.
Era una giornata di sole, a Bologna, quella che accolse la notizia della morte del suo figlio più celebre: Lucio Dalla. Impensabile, inconcepibile per tutta l’Italia che amava l’uomo che aveva scritto pezzi immortali come “Caruso”, “L’anno che verrà” o ancora “4 marzo 1943”, prendere coscienza del fatto che non lo avrebbe più visto su un palcoscenico. Un artista che ha segnato in modo profondo e indelebile il nostro tempo! Un grande artista, la sua ironia e la sua genialità mancheranno sempre a tutti coloro che l’hanno conosciuto.
Lucio Dalla è stato una delle persone più libere fra quelle che hanno fatto canzoni nella nostra storia. Era libero di seguire tutti i doni che gli sono stati fatti. Prima di tutto quello di una musicalità che gli usciva da ogni poro. Bastava che posasse le mani su un pianoforte o soffiasse su un sax o un clarinetto e ne usciva subito Musica, con la emme maiuscola. Poi la sua voce che, naturalmente, era così piena di Musica che tante volte era costretto a inventare linguaggi e suoni perché la lingua italiana non gli bastava. E le parole, quando ha cominciato a scriverle, sono sempre state piene di malinconia, meraviglia, ironia, gioco, stupore. E tutto è sempre stato all’insegna di un’enorme, instancabile vitalità.
Caro Lucio, hai accompagnato tanti anni della mia vita, ti ammiravo per la tua genialità, per il tuo estro, per i tuoi eccessi e le tue pazzie, ma soprattutto per la tua arte che non conosceva recinti e riusciva a spiazzarmi e a stupirmi ad ogni nuova idea, ad ogni nuova canzone, che per me era poesia. Te ne sei andato come avresti voluto, tra un concerto appena finito ed un altro da incominciare e adesso che sei un angelo, come ci promettevi in una canzone, sono certa che stai volando libero e parli con Dio a modo tuo …
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