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Senegal: Omaggio a Essamba   4 comments

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Fiero corpo nero

di Stefania Ragusa

Al Musée Théodore Monod di Dakar fino al 30 marzo una retrospettiva dedicata alla fotografa camerunese Angèle Etoundi Essamba. Che da trent’anni racconta e svela l’universo femminile africano.

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Angèle Etoundi Essamba

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Riferendosi ad Angèle Etoundi Essamba, parlare di lunga carriera è più che appropriato. La splendida artista di origine camerunese, cresciuta a Yaoundé, la capitale del Camerun, e approdata a Parigi da bambina nel 1972, ha cominciato a fotografare prestissimo, distinguendosi subito per lo sguardo committed e sapientemente creativo e per la capacità di precorrere i tempi. Ha esposto in tutto il mondo, collezionato premi e messo insieme un curriculum di prima classe.

Un’artista di questo livello e di questa esperienza non avrebbe ragione di farsi sorprendere dall’emozione di fronte a una nuova mostra. Ma Force & Fierté: 30 années de photographie de la femme africaine, la retrospettiva che le dedica il Musée Théodore Monod di Dakar (ex Musée de l’Ifan) dal 18 febbraio al 30 marzo, non è solo un nuovo tassello che si aggiunge a una storia professionale di alto livello. Questo evento ha infatti un valore molto importante su scala panafricana: è la prima volta che un’istituzione museale del continente dedica a un’artista africana una mostra di queste proporzioni; è un omaggio senza precedenti.

Dice Essamba: «Esporre in Senegal, paese in cui ho realizzato molti dei miei lavori e che continua a essere per me una importante fonte d’ispirazione, è un grande onore. Mi considero molto fortunata e sono grata al presidente per avermi dato questa opportunità». È stato Macky Sall in persona a invitarla a Dakar, dopo avere visto ad Addis Abeba alcuni dei suoi lavori ed esserne rimasto impressionato. Era fine gennaio dello scorso anno. La capitale dell’Etiopia ospitava un vertice dell’Unione africana dedicato all’empowerment femminile, e la presidente Dlamini-Zuma le aveva chiesto di portare lì alcune sue opere.

Il soggetto privilegiato di Essamba è l’universo femminile. In particolare quello della sua terra, attraversato da figure forti e affascinanti, lontanissime dai cliché che popolano l’immaginario occidentale. «Considero importante spezzare lo stereotipo delle africane oppresse e passive e mostrare il loro volto vibrante, attivo, impegnato». Oggi, per fortuna, riflessioni di questo tipo sono ricorrenti. Trent’anni fa, quando la nostra ha iniziato a scattare, no. «La condizione delle donne in Africa è cambiata e in meglio. Pensiamo a paesi come il Rwanda, dove addirittura la metà dei parlamentari è donna. Ma rimane ancora molta strada da percorrere».

Le donne che ritrae non sono mai modelle professioniste. «Posso sceglierle da qualsiasi contesto, tranne che dalle agenzie fotografiche. Ho coinvolto nei miei lavori persone incontrate per strada, amiche, parenti… Ma sempre persone normali, vere». Le sue composizioni fotografiche, per quanto costruite e concettuali, sono sempre espressione dell’autenticità: raccontano una storia reale. Se così non fosse, perderebbero il loro valore testimoniale. Chi avrà la fortuna di essere a Dakar, nel periodo di apertura della mostra, potrà rendersene conto. Grazie anche a un impianto espositivo quasi pedagogico, che permette al visitatore di fare una sorta di viaggio attraverso il percorso artistico di Essamba.

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200 immagini. Si va dalle donne forti e fiere (che danno anche il titolo all’esposizione), protagoniste delle serie Black and White e Colours, alle lavoratrici sfruttate nelle miniere, nelle fabbriche tessili e in altri luoghi topici della globalizzazione, che animano il più recente progetto Territories (quello che ha colpito Macky Fall). Nel mezzo ci sono i dettagli rarefatti e poetici del lavoro intitolato Beyond Colours, le rappresentazioni della natura (Mother Nature), della vita e della morte (Transition 1 e 2), e anni di ricerca artistica, esistenziale, etica. Anni di femminismo praticato e di destrutturazione dei pregiudizi.

A selezionare le circa 200 immagini che compongono la retrospettiva è stato Landry-Wilfrid Miampika, versatile intellettuale congolese di stanza a Madrid, esperto di arte contemporanea africana e già curatore di altre mostre dell’artista. «In questi trent’anni Angèle Etoundi Essamba ha seguito una linea artistica coerente e un’estetica duratura, un dato non comune a tutti gli artisti africani. Nel suo lavoro troviamo una nuova politica di rappresentazione del continente africano, lontana dai pregiudizi derivati dalle percezioni coloniali e neocoloniali. Troviamo una nuova rappresentazione, poetica, della donna nera africana e la messa in scena e la sublimazione del corpo nero su diversi versanti fotografici. Non credo sia necessario ricordare i pregiudizi che storicamente, nei secoli, hanno investito il corpo nero, la donna nera e l’Africa. La fotografia di Etoundi Essamba è una decostruzione artistica di molti di questi pregiudizi. E il suo contributo fotografico sulla visibilità della donna africana nera è notevole».

In tutti questi anni Essamba non si è limitata a fotografare. Ha dato vita a una Fondazione che si è occupata, in particolare, delle bambine di strada in Camerun. E poi, insieme con Céline Seror, ha avviato un progetto editoriale centrato sull’arte contemporanea africana al femminile, ossia fatta, vista e raccontata dalle donne. Si chiama IAM, Intense Art Magazine, e comprende un semestrale cartaceo, un sito web e l’organizzazione di eventi legati alle arti visuali e al design made in Africa o dalla diaspora.

Essamba: «Questa piattaforma rappresenta il logico prosieguo del mio lavoro artistico. La creatività delle africane è tanta e merita di essere celebrata nel mondo. Io sono convinta che arte e sviluppo procedano di pari passo: è molto importante che l’Africa riconosca e faccia conoscere i suoi talenti». Lo scorso ottobre, attraverso IAM, è stata organizzata a Douala una settimana di eventi e incontri dedicati in modo specifico all’arte e alla moda del Camerun. Il format, battezzato Iam Art & Fashion, ha avuto un grande successo e sarà replicato a maggio, in occasione di Dak’Art. Il focus ovviamente, in questo caso, sarà sul Senegal. Per la nostra Angèle sarà anche un modo di ringraziare il paese che ha scelto di celebrarla.

Fonte: nigrizia.it
Venerdì 19 Febbraio 2016

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Una favola del Senegal   6 comments

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L’Africa

Contrariamente a quanto si è a lungo creduto, l’Africa non è un “continente senza storia”. Civiltà fiorenti, tradizioni, usanze tramandate anche tramite storie, leggende e racconti, si sono sviluppate in molte regioni (Africa occidentale, l’attuale Angola, l’attuale Zimbabwe) fin da tempi molto antichi.
Il declino di questi stati e civiltà africane è relativamente recente ed è legato all’espansione europea nel mondo a partire dalla fine del quattrocento. L’intero continente africano venne infatti impoverito e degradato da quattro secoli di tratta degli schiavi. Si calcola che gli schiavi africani deportati fra il 1500 e il 1850 in schiavitù verso le Americhe non furono meno di trenta milioni.

Nelle fiabe africane ci sono tanti spunti per comprendere la ricchezza di un continente ricco di storia, cultura e tradizioni.

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“Perché ci sono tanti idioti”

Tanto tempo fa c’erano pochissimi idioti nel mondo rispetto a oggi. Quando se ne trovava uno da qualche parte, subito era cacciato via dal villaggio. Oggi, invece, bisognerebbe cacciare via la metà del villaggio e ancora ciò non basterebbe. Ma come si spiega che ci sono in giro tanti idioti? Ecco come sono andate le cose… Un giorno tre idioti che erano stati cacciati via da un villaggio per colpa dei loro pettegolezzi, si ritrovarono ad un crocevia e dissero:
«Forse arriveremo a qualche cosa di utile se riuniremo l’intelligenza di tre teste stupide».
E proseguirono il loro cammino insieme: dopo un certo tempo, arrivarono davanti a una capanna dalla quale uscì un vecchio uomo che disse loro:
«Dove andate?».
Gli idioti alzarono le spalle e risposero:
«Dove ci porteranno le nostre gambe. Ci hanno cacciato via dal nostro villaggio per le nostre imbecillità».
Il vecchio rispose: «Allora entrate. Vi metterò alla prova».
Questo vecchio aveva tre figlie anche loro imbecilli e si dimostrò comprensivo.
L’indomani, chiese al primo idiota: «Tu, vai alla pesca!» E al secondo:
«Vai nel bosco e porta un masso legato con treccine di corde!»
Poi al terzo:
«E tu portami delle noci di cocco!»
Gli idioti presero un recipiente ciascuno, un’ascia e un bastone e si misero in strada. Il primo si fermò vicino al mare e si mise a pescare. Quando il suo recipiente fu pieno, ebbe di colpo sete; ributtò tutto il pesce in acqua e tornò a casa a bere.
Il vecchio gli domandò: «Dove sono i pesci?».
Egli rispose: «Li ho rimessi nell’acqua. Mi ha preso la sete e sono ritornato veloce a casa per bere.
Il vecchio si arrabbiò: «E non potevi bere al mare?» gli chiese.
L’idiota rispose: «Non ci ho pensato…»
Durante questo tempo, il secondo idiota che era stato nel bosco, ma si preparava a ritornare a casa, si era reso conto che non aveva corda per legare i massi. Correva a casa appunto per cercarne una.
Il vecchio si arrabbiò di nuovo: «Perché non hai legato il tuo masso con una delle corde?». Egli rispose: «Non ci ho pensato…». Il terzo idiota montò sulla palma da cocco, mostrò alle noci di cocco il suo bastone e disse: «Tu devi buttare a terra queste noci di cocco, hai capito?»
Scese e cominciò a lanciare il bastone sul cocco. Ma non fece cadere nessuna noce. Anche lui ritornò a casa a mani vuote.
E una volta ancora il vecchio si arrabbiò: «Poiché tu eri sul cocco, perché non hai colto il frutto con le mani?».
Egli rispose: «Non ci ho pensato…».
Il vecchio seppe che non avrebbe combinato niente di buono con quei tre scemi.
Gli diede in moglie le sue tre figlie e li cacciò via tutti quanti.
Gli idioti e le loro mogli costruirono una capanna e vi vissero bene e male.
Ebbero figli tanto stupidi quanto erano loro, le capanne si moltiplicarono e gli idioti si disseminarono in tutto il mondo.

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La forza delle donne: “Siamo noi donne che costruiamo il mondo!”   5 comments

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Donne che contano, l’esperienza del Senegal

di Anna Jannello

«Quando, come donne, si ha accesso alla proprietà della terra, ci si sente libere, autonome, rispettate, in grado di parlare alla pari con gli uomini e di spezzare le consuetudini che ci hanno impedito di possederla». È la convinta affermazione di Tinde Ndoye, presidente della Rete delle donne rurali di Thiès, che rappresenta 3 mila lavoratrici impegnate nel settore agricolo. Nel suo paese, il Senegal, la maggioranza dei 13 milioni di abitanti vive in zone rurali, dove il lavoro agricolo è svolto principalmente dalle donne: l’82 % di loro è impegnato nei campi e assicura oltre l’80 % della produzione alimentare.

Tuttavia hanno un accesso ancora limitato alla terra: gli uomini capofamiglia possiedono il 61 % delle proprietà agricole contro il 31 % detenuto da donne che svolgono lo stesso ruolo. Tinde fa parte della delegazione di venticinque donne senegalesi, tutte responsabili di cooperative e associazioni, che hanno portato la loro testimonianza nel seminario sulle sfide della nuova Agenda per lo sviluppo, organizzato dalla Cooperazione italiana alla cascina Triulza (padiglione della società civile all’interno di Expo 2015).

Altre rappresentanti di realtà locali, nei loro coloratissimi bou bou, hanno preso la parola. Maïmouna Ndao, presidente di Mutuelle Teranga a Kaolack, ha sottolineato l’importanza delle piccole imprese e dei commerci gestiti dalle donne: il network Aprofes, di cui fa parte la sua associazione, ha formato 30 mila donne e dato vita a 500 iniziative commerciali. «Per poter dire no a chi ci vuole sottomesse bisogna essere autonome economicamente. Lavoriamo anche venti ore al giorno, senza un minuto per noi stesse», ha detto ricordando che le istituzioni preferiscono «parlare delle donne piuttosto che con le donne e capire le loro esigenze».

Seynabou Cissé, presidente della Piattaforma per la promozione della pace in Casamance, ha raccontato della difficoltà di lavorare i campi nell’ex granaio del paese a causa del conflitto irrisolto da 32 anni: le donne si sono mobilitate per fare sminare i sentieri che conducono ai loro appezzamenti e si sono riunite per partecipare al processo di pace. Aïssatou Dème ha convinto 80 donne di Guinguinéo, 250 chilometri a sud di Dakar, a lavorare delle terre ritenute poco fertili e, dopo l’installazione di una pompa a energia solare per estrarre l’acqua, adesso sono proprietarie dei loro campi. «Al mattino faccio formazione alle donne, il pomeriggio lavoro la terra, la sera sono sposa e madre. Siamo noi donne che costruiamo il mondo!» ha affermato con fierezza.

Valorizzare il ruolo delle donne come protagoniste dello sviluppo, lottare contro le discriminazioni di genere sono fra gli obiettivi di diversi programmi che dal 2008 la Cooperazione italiana promuove nelle regioni di Dakar, Kaolak, Thiès, Kolda, Sedhiou per rafforzare le capacità imprenditoriali femminili. Argomenti che saranno ripresi nella “Carta delle donne” che Women for Expo intende lanciare durante l’esposizione universale milanese come documento condiviso dalla galassia di associazioni femminili impegnate sui temi del nutrimento e della sostenibilità.

La discriminazione di genere può essere contrastata anche con l’ironia: è il messaggio del docufilm Goor Ndongue (proiettato durante il seminario) che mette in scena una quotidianità capovolta. Le donne lavorano in città e trovano tutto pronto al ritorno, gli uomini si occupano dei bambini e delle faccende domestiche, vanno al mercato, lottano per conquistarsi le attenzioni del marito poligamo e una briciola di libertà scontrandosi contro la tradizione che le vuole obbedienti e sottomesse…

Fonte: nigrizia.it
Mercoledì 24 Giugno 2015
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