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Sarà proprio vero?   7 comments

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Recenti studi correlano il possesso di un gatto alla schizofrenia

Gli scienziati hanno recentemente scoperto una forte correlazione tra il possesso di uno, o più gatti ed il disagio schizofrenico che, secondo questi studi, sarebbe provocato da un parassita.

In uno studio pubblicato recentemente sul giornale “Schizophrenia Research” gli esperti hanno rilevato che nelle famiglie che possiedono un gatto c’è una maggiore probabilità che la malattia schizofrenica colpisca uno dei figli negli anni dello sviluppo.

Analizzando un vecchio questionario compilato nel 1982 da più di 2000 nuclei familiari che in comune avevano un malato di mente in casa, non sempre necessariamente ‘schizofrenico’, ebbene gli studiosi hanno estrapolato un dato incredibilmente significativo: ben il 50% di questi malati possedeva un gatto o aveva posseduto un gatto durante la propria infanzia.

I risultati di questo studio, tra l’altro, sono stati molto simili ad un altro test effettuato negli anni 90.

La schizofrenia è una malattia che si sviluppa su tempi molto lunghi i cui sintomi possono essere allucinazioni e cambiamenti di umore e comportamentali repentini.

Gli scienziati spiegano anche che secondo loro il colpevole di ciò potrebbe essere il Toxoplasma gondii, un parassita unicellulare presente nel corpo di alcuni gatti.

Fuller Torrey, un ricercatore dello Stanley Medical Research Institute che ha preso parte allo studio, dice all’Huffington Post: “Il Toxoplasma gondii si insinua nel cervello e crea delle micro cisti. Noi pensiamo che queste micro cisti si attivino durante l’adolescenza e causino i disturbi tipici della malattia mentale, probabilmente dovuta a non meglio identificati malfunzionamenti dei neurotrasmettitori.

Fonte: indipendent.co.uk
13 Giugno 2015
        
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Non siamo nulla senza di loro … nemmeno grandi cuochi!   Leave a comment

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Sono sempre stata affascinata dal mondo animale, leggo tutto ciò che trovo su questi esseri che ritengo straordinari, superiori direi, c’è una infinità di informazioni da scoprire, notizie che ci insegnano quanto il nostro comportamento “umano” sia gran poca cosa e derivi sostanzialmente da ciò che gli animali conoscono già. Mi sono imbattuta in questo articolo, che riporto integralmente, e che ho trovato davvero interessante e decisamente istruttivo. E poi,  “loro” sono troppo simpatici…

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Le (possibili) abilità culinarie degli scimpanzè

Gli scimpanzé selvatici preferiscono i cibi cotti a quelli crudi, capiscono che gli alimenti vengono trasformati dal calore e possono pianificare le azioni necessarie alla cottura. E’ quanto emerge da uno studio sul campo i cui risultati suggeriscono che le capacità cognitive necessarie alla cottura dei cibi, un passo fondamentale dell’evoluzione, sono emerse in un’epoca molto remota del passato filogenetico degli esseri umani.

La cottura del cibo è una tappa fondamentale nell’evoluzione umana, poiché rende gli alimenti più facili da masticare e da digerire, oltre che meno rischiosi per la salute.  Uno studio pubblicato sui “Proceedings of the Royal Society B”da Felix Warneken e Alexandra Rosati della Harvard University sostiene ora che le capacità cognitive necessarie per preferire i cibi cotti a quelli crudi e per saperli cuocere sono emerse molto precocemente nei nostri antenati, dato che anche gli scimpanzé dimostrano di possederle.

“Parlando della cottura del cibo molti antropologi si sono concentrati sul controllo del fuoco, che sembra la cosa più importante, ma avere in mano un bastoncino che brucia non basta, occorrono diversi altri passaggi cognitivi prima di poterlo usare per cuocere”, ha spiegato Rosati. “Ovviamente, gli scimpanzé non sono in grado di controllare il fuoco; ciò che abbiamo cercato di verificare era se anche in questi primati fossero presenti altri aspetti cognitivi della cottura, come la comprensione del rapporto di causa effetto che è alla base della trasformazione del cibo da crudo a cotto tramite il calore, e la pianificazione delle azioni necessarie alla cottura, che finora si ritenevano esclusivamente umane”.

Per verificare se gli scimpanzé selvatici fossero in grado di compiere i passaggi mentali necessari per cuocere, nel 2011, Warneken e Rosati hanno condotto una serie di esperimenti sul campo in Congo, presso il Jane Goodall Institute, l’istituto intitolato alla ricercatrice che ha dedicato la vita allo studio di questi primati.

La sperimentazione prevedeva diverse fasi successive sempre più complesse. Nella prima, gli autori hanno dato agli animali la possibilità di scegliere tra patate dolci crude e cotte e gli scimpanzé hanno dimostrato di preferire quelle cotte, anche se prima di mangiarle dovevano attendere alcuni minuti.

Nella seconda fase, gli animali hanno ricevuto uno strumento di cottura semplificato e fette di patate dolci crude. Anche in questo caso, una buona proporzione degli scimpanzé ha imparato presto a usare lo strumento per ottenere e mangiare patate cotte: questo, secondo gli autori, presuppone un passaggio cognitivo piuttosto importante, perché implica la comprensione della trasformazione del cibo da crudo a cotto e del rapporto di causa-effetto tra l’uso dello strumento e la possibilità di consumare il cibo cotto.

Nella terza e ultima fase, gli autori hanno dato agli scimpanzé le patate crude e solo in un secondo momento lo strumento di cottura. In questo caso, alcuni animali hanno consumato le patate crude, mentre una buona percentuale di loro ha aspettato di poterle cuocere, dimostrato di avere una capacità assai sviluppata di pianificare le azioni future.

“Questi studi comparativi chiariscono molti particolari del nostro passato evolutivo”, ha concluso Rosati. “Ritengo che questi risultati supportino l’idea che la cottura del cibo sia emersa molto presto nel corso dell’evoluzione: tutti gli elementi erano già presenti, e tutto ciò che occorreva era il controllo del fuoco”.

Le Scienze
Edizione Italiana di Scientific American
Venerdì 05 giugno 2015

                  

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L’istinto di sopravvivenza fa aguzzare l’ingegno, ma …   10 comments

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Mi sono imbattuta in una notizia che ha, a dir poco, dello straordinario, ma che conferma, prima di tutto a me stessa, l’idea che ho sempre avuto sul fatto che gli animali sono esseri superiori. Sembra che il beccospino bruno un uccello australiano piccolissimo, che pesa soltanto 7 grammi, abbia imparato ad imitare i suoi simili per difendere se stesso e il suo nido dai predatori. Riproducendo il verso di pettirossi, roselle e altri volatili lancia un segnale di avvertimento del pericolo nel caso si avvicini una cornacchia, per esempio. La malcapitata, spaventata da questo allarme, si blocca per il tempo sufficiente da permettere al beccospino e ai suoi piccoli di allontanarsi e mettersi al riparo.

La notizia arriva dai ricercatori dell’Australian National University, che affermano che questa è la prima ricerca in merito all’uso del mimetismo vocale degli uccelli mirato a spaventare i predatori, tra i quali, in primis, vi è la cornacchia sibilante bianca e nera, che è grande almeno 40 volte più del beccospino e mangia individui molto più adulti.

In pratica se il beccospino imita il segnale dell’allarme del falco, la cornacchia si distrae per il doppio del tempo rispetto all’allarme dato nella propria lingua, permettendo così all’ “imitatore” di fuggire e scampare il pericolo.

Trovo straordinaria l’intelligenza degli animali, l’istinto di sopravvivenza fa aguzzare l’ingegno, ma partendo da questo presupposto, mi rimane una domanda: che succederà quando la cornacchia capirà il “giochino” e si avvicinerà al nido imitando un beccospino innamorato?

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Pubblicato 5 giugno 2015 da mariannecraven in Scienza

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