Archivio per l'etichetta ‘Politica’
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L’EDITORIALE. LETTERA A MIA FIGLIA SUL REFERENDUM
di Lucio Giordano
03 Dicembre 2016

Caro, immenso amore di papà,
te lo dico subito: non è questo il mondo che sognavo per te quando eri piccola, di quando cioè ti addormentavi tra le mia braccia, perché riuscivi a dormire solo con me o con la mamma, con quella canzoncina che ti piaceva tanto. Di quando ti cambiavo il pannolino e intanto ti facevo il solletico sotto le ascelle, di quando mi venisti a prendere alla stazione dopo un festival di Cannes lungo due settimane e mi corresti incontro con le manine alzate dicendomi di non partire più per così tanto tempo. No, non era questo il patto per farti vivere serena, all’alba del terzo millennio che ancora non si preannunciava così cupo.
Domani voterai per il referendum, il tuo primo voto importante. So già come voterai. O meglio, come sei intenzionata a votare. Ci sei arrivata dopo una lunga riflessione, anche se la confusione politica è tale che per una ragazza, maggiorenne da non molto, deve essere davvero complicato destreggiarsi tra articoli di riforma costituzionale oscuri e mal scritti e dopo l’ordalia di una campagna referendaria piena di incomprensibili colpi bassi.
E’ un casino, lo so, piccola mia. Giorni fa mi hai chiesto di spiegarti la politica di questi ultimi anni e ho provato a farlo, senza influenzarti troppo, perché conosci come la penso: ognuno deve ragionare con la propria testa dopo aver analizzato le cose, senza condizionamenti. E ti ho raccontato del referendum costituzionale del 46, della Dc, del Pci, dell’assassinio di Aldo Moro, di Tangentopoli, di Berlusconi. Via via fino agli ultimi 10 anni, quelli più oscuri, nei quali tutto è cambiato rapidamente. E non capivi bene, perché a scuola la storia contemporanea viene insegnata poco e male.
Gli ultimi tre anni. E lì ti girava la testa, immagino. I 5 stelle primo partito nelle politiche del 2013, ma che non governano, la coalizione Bersani Sel che vince ma non governa. E Forza Italia, Letta, l’attuale governo, il Pd che con Renzi diventa un partito di destra, appoggiato da banche, imprenditori, finanza. E che fa politiche di destra . Siamo stati 4 ore a parlare di politica. Che poi mi viene da ridere. Perché, a differenza mia, non ti ha mai appassionato troppo e anzi mi prendevi in giro quando eravamo tu ed io in casa, perché mamma non c’era più, e guardando Ballarò parlavo da solo con la tv, imprecando contro Berlusconi.
Tu, persona lineare, trasparente, con un profondo senso della giustizia, ad esempio non capivi perché a Bersani non fosse stato consentito di formare un esecutivo. Lo trovavi ingiusto. Ha vinto lui, ed era lui che doveva andare al governo. Hai ragione: logico, naturale. Poi siamo passati a parlare del referendum, dell’ Italicum e hai esclamato indignata: democrazia è quella cosa che vince chi ha ottenuto più voti, ma anche le minoranze devono essere rappresentate adeguatamente. Ed è proprio su questo che ci siamo messi a parlare più a lungo. Sulla riforma costituzionale, sulla legge elettorale, su quanto fosse importante tornare al proporzionale per preservare la democrazia. Siamo entrati nel merito del referendum, ti ho spiegato nella maniera più equilibrata possibile del senato, del titolo v, dell’articolo 70. Facevi fatica a seguirmi ma poi nella tua solita, indiscutibile logica mi hai domandato: ” Non è che cosi ci prepariamo alla dittatura, Papà?”. Ho allargato le braccia. Lucidamente ti dico di no, ma la paura è che sì, potrebbe anche avvenire. L’impalcatura riforma costituzionale- Italicum è quella. E non mi fido di una legge elettorale approvata in tutta fretta con tre fiducie, che non si sa se verrà cambiata dopo il 5 dicembre, e di una riforma costituzionale varata senza una maggioranza condivisa.
E sì, sento puzza di bruciato, e questo te lo dico solo ora. Troppa frenesia dietro questo referendum, troppo attivismo sospetto nel fronte del Si, come se qualcuno molto potente si stesse giocando sulla nostra testa il futuro per gli anni a venire. Ma spero di sbagliarmi. Anche se, come sai, oltre a non convincermi questa riforma pasticciata, inutile, condivisibile solo in pochi punti e combattuta con forze propagandistiche vergognosamente squilibrate, mi preoccupa di più chi la sta appoggiando, questa riforma: le banche, wall street, la grande industria. E quando entrano in campo loro c’è da aver paura. Una paura fottuta.
Lo sai bene anche tu, dopo aver visto insieme, sul tuo lettone, proprio tre giorni fa quel capolavoro assoluto del cinema mondiale chiamato The capitalism, a Love story, di Michael Moore. Un film che, per far capire cosa sia il cinismo della finanza internazionale, dovrebbe esser proiettato obbligatoriamente nelle scuole di tutto il pianeta. E lì ti sei spaventata per davvero, perché hai potuto vedere gli effetti perversi del capitalismo, la spregiudicatezza e l’arroganza di wall street, delle banche d’affari. Ti sei addormentata agitata, quella notte, e lo capisco. No, non c’è da fidarsi. Meglio che la costituzione non venga toccata per non rischiare salti nel buio che ci farebbero tornare se non proprio al medioevo, a prima della rivoluzione francese.
Certo, votare come vota la Lega nord o Fratelli d’Italia non è il massimo per chi è un cattolico progressista, di sinistra. Non è bello votare diversamente da tanti amici del Pd, che hanno deciso legittimamente per il sì. Ma qui si vota sulla nostra amata Carta: alle elezioni politiche ognuno andrà per la propria strada. La destra con la destra, la sinistra con la sinistra, anche se Renzi è riuscito anche in questo: a tirare in futuro la volata alle forze reazionarie del Paese. Ma, sappi, che questa costituzione tanto odiata da Jp Morgan è un’ancora di salvezza contro qualsiasi populismo: di Renzi, di Berlusconi, di Grillo, di Salvini, o di un altro uomo solo al comando che riuscisse a far leva sulla pancia ignorante del Paese. Concorderai: con risultati disastrosi, ne abbiamo avuti già tre, in cento anni, di uomini soli al comando. Uno è ancora in carica. Ora basta per davvero .
Per questo, amore mio, e per tanto altro ancora, dire no alla riforma costituzionale vuol dire immaginare un domani meno grigio. Penso a te, penso a tutti i ventenni come te. Vi stiamo regalando un mondo da far schifo. Se vince il Sì nessuno ci garantisce un futuro migliore. Anzi. E comunque, tranquilla: l’altra sera mi hai chiesto allarmata se davvero la speculazione finanziaria ci ridurrà in mutande se dovesse vincere il no. No, non sarà cosi. Il sole sorgerà anche domani, amore mio. Spero solo, svegliandoci il 5 dicembre, di aver scampato il pericolo di trovarci con una spietata oligarchia dentro casa . Lo spero per te e per tutti i ventenni come te. Quasi tutti voteranno no. E qualcosa vorrà pur dire.
Ti voglio bene
Papà.
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Mi è capitato soltanto oggi di leggere questo articolo, un pezzo davvero significativo, attuale anche se di un mese fa, soprattutto in questi giorni in cui si stanno scatenando battaglie politiche contro Papa Francesco, all’insegna di un populismo sfrenato, con l’unico obiettivo di portare a casa voti. Con un Salvini beceramente cinico, per il quale i “migranti” sono solo “clandestini”, non persone, e la sua affermazione che “respingerli” è un dovere; con quella parte del Movimento 5 Stelle che propone regole aberranti su un forzato rimpatrio; con articoli come quello di Feltri, apparso in questi giorni, mi sembra davvero di essere in guerra. Condivido ogni parola dell’articolo, credo fermamente che esista tanta parte “sana” in questa nostra Italia che ha ancora valori umani, sogni e ideali in cui credere e per cui lottare … ribloggo con immenso piacere, nella speranza che più persone possibili lo leggano e sappiano discernere …
A parte il fatto che condivido ciò che scrivi, mi fa talmente ridere il termine “bimbiminkia”, che ribloggo l’articolo. Certo che la Serracchiani fa venire il dubbio che in giro dei bimbiminkia esistano davvero …
E la Trojka va combattuta, non aiutata. Chapeau a Tsipras, Varoufakis e a tutto il popolo greco. Bel pezzo, sintetico ma molto significativo, lo ribloggo.
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Referendum Grecia: l’urlo della vittoria nella sede di Syriza tra Sel, Podemos, Sinn Fein, sinistra Pd e socialisti francesi
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di Angela Mauro
Fonte: Huffington Post
Domenica 05 Luglio 2015
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“La battaglia di Syriza è la nostra battaglia. Se perde Syriza, perdiamo tutti…”. Martina Anderson è una distinta signora irlandese, alta, bionda, europarlamentare dello Sinn Fein. C’è anche lei nel quartier generale di Syriza ad Atene con gli altri scampoli di sinistra di vari paesi europei: da Podemos, a Nichi Vendola e i suoi di Sinistra e libertà, Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre del Pd, la sinistra del partito socialista francese, Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista, l’europarlamentare portoghese della Sinistra Europea Marisa Matias, Raffaella Bolini che è Arci ma anche coalizione sociale di Maurizio Landini e c’è anche Luciana Castellina. Martina si è portata una bandierina irlandese, le piace esibirla in ogni foto con i “compagni” – qui si chiamano così – europei. E’ la sinistra frastagliata del vecchio continente, riunita ad Atene per tifare “No”, “Oxi”, al referendum indetto da Alexis Tsipras sulla crisi greca. O la va o la spacca.
Di qui passa tutto, inizia o finisce tutto, dicono a dita incrociate, mentre si aggirano per le stanze di questo palazzone a sette piani a piazza Elftheria, piazza della Libertà, manco a dirlo. “Abbiamo una responsabilità, la sentiamo addosso…”, un funzionario di Syriza sorride ma risponde anche preoccupato alle aspettative di Martina. Ma qui al quartier generale del partito del nuovo leader della sinistra Ue – Tsipras che qui non c’è, è al palazzo del governo – l’aria è positiva, mentre si chiudono le urne e alla tv scorrono gli ultimi sondaggi che non erano stati resi noti prima per non influenzare il voto. Tutti danno il ‘no’ alla Troika in vantaggio. Anche la rilevazione effettuata da tutti gli istituti demoscopici greci, tutti insieme d’accordo a dire che i greci votano no.
Siamo ad Atene, ma la sede è spartana. L’aria condizionata fa cilecca, ma nessuno se ne cura in queste stanze con le pareti un po’ bianche e un po’, naturalmente, rosse. Arrivano bibite fresche, noccioline, le squisite mandorle greche e altri generi di conforto. Si sgranocchia e ci si rinfresca come si può, gli occhi attaccati alla tv. Oltre ai sondaggi arrivano anche i primi dati parziali, dalle isole: No. Si sente un urlo di vittoria, in tutte le lingue: è perché in alcune zone il no tocca l’80 per cento. “Incredible!”, dice un francese. Siamo ad Atene e da qui, per come la mettono in tv, Sparta vacilla. La davano schierata sul sì, ma poi si riprende: no anche lì, “abbiamo ripreso Sparta!”, si urla.
Argiris Panagopoulos, esponente di Syriza molto noto in Italia tanto che parla benissimo in italiano, guarda la tv con sguardo compiaciuto. “Significa che la decisione dei falchi europei di andare allo scontro con noi ha ferito nell’orgoglio il nazionalismo greco. Ecco perché il no vince. Quella strategia non ha pagato per loro…”, ci spiega. “Scommettevano sulle scene di panico davanti alle banche chiuse: non è successo. Anche questo ha pagato in favore del no… – continua – E non è stato facile, visto che tutte le tv remavano contro di noi: Syriza non ha alcun media amico…”. E alla ‘odiata tv intanto arrivano anche le prime dichiarazioni del ministro dell’Interno greco, Nikos Voutsis: “Siamo soddisfatti, le operazioni di voto si sono svolte al meglio, pur avendo avuto solo sei giorni per organizzare il referendum…”.
Martina Anderson sorride. “E’ una lezione anche per noi…”, per l’Irlanda, uno di quei paesi piegati dalla Troika che proprio per questo hanno sempre fatto muro contro Tsipras. Non lo Sinn Fein, non Podemos in Spagna che vede rafforzarsi la speranza di vincere le prossime politiche in autunno. E anche gli italiani qui esultano per le vittorie che non hanno in patria. “Renzi venga ad Atene ad imparare due cose fondamentali: L’Europa senza democrazia semplicemente non c’è, la sinistra senza giustizia sociale è solo una bolla di sapone”, ci dice Vendola. “La prima significativa crepa si è aperta nel nuovo muro di Berlino – continua – una vittoria netta di un popolo che ha rifiutato il calvario dell’austerity e di un governo che, unico in Europa, ha saputo tenere la schiena dritta nei confronti delle oligarchie politiche e finanziarie”. E Fassina: “Ha vinto la speranza, è stata sconfitta la paura: grazie al governo Tispras e Syriza si rianima la democrazia europea. Renzi smetta di accordarsi al governo tedesco e si impegni per l’interesse nazionale dell’Italia: chieda ufficialmente di riaprire il negoziato per la Grecia”.

“Questo può essere l’atto rifondativo dell’Europa che riconcilia la democrazia con la partecipazione e il potere di scelta dei popoli”, dice il capogruppo di Sel Arturo Scotto mentre già scalpita per andare a festeggiare in piazza Syntagma. Lo segue la senatrice vendoliana Loredana De Petris: “Risultato straordinario se si pensa alle condizioni in cui si è votato e alla campagna ossessiva di tutti i media…”. D’Attorre è felice e un po’ allibito, lo ammette: “Sono venuto qui per dimostrare da che parte stare ma pensavo che il ricatto delle istituzioni europee avrebbe prevalso.. invece no: commevente”. “IL terrorismo economico della Merkel ha perso – dice Paolo Ferrero – ha vinto la democrazia dei popoli e adesso l’Ue accetti di cambiare piano e politiche uscendo dall’austerità”. E’ ora: Tsipras non passa più per la sede di Syriza, appuntamento in piazza Syntagma. Si va.
La sede è quasi deserta. Tonia Tsitsoviz del comitato centrale di Syriza sospira, esausta e contenta. “Si va in piazza – ci dice – Da quando l’ho vista pienissima di tanti no, Oxi, venerdì scorso, ho capito che avremmo vinto. Eppure, data l’età che ho, ne ho viste di piazze Syntagma piene, ho visto anche la rivolta al Politecnico contro i colonnelli…”. Era il ’73. Ma dopo quarant’anni qui avvertono ancora quello strano sapore di rivalsa che talvolta la storia offre e ripropone, seppure in salse diverse.
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Moni Ovadia
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Il valore dei muri
di Moni Ovadia
Venerdì 19 Giugno 2015
Lo scandalo e l’esecrazione provocati dal celeberrimo muro di Berlino non hanno più avuto reazioni consimili in quelle provocate da altri muri che stanno sorgendo da molte parti in Europa e nel mondo. Nessun Presidente degli Stati Uniti suscita la commozione dei sedicenti democratici con le sue frasi lapidarie come fu quella pronunciata da John Fitzgerald Kennedy in riferimento al quel muro della Guerra Fredda: «Ich bin ein Berliner». Replicherà Obama un exploit del genere pronunciando un vibrante: «I am an illegal immigrant» o «I am a gipsy» davanti all’edificando muro magiaro voluto dal fascistoide Orban? C’è da dubitarne visto che sul confine fra Messico e Usa c’è una barriera il cui scopo è quello di arrestare l’immigrazione illegale.
L’Europa Comunitaria, con ogni probabilità, non farà nulla nei confronti dell’Ungheria dato che fino ad ora non ha fatto granché per contrastare i provvedimenti liberticidi e antidemocratici del suo governo. Alla comunità Europea non importa niente della libertà e men che meno della democrazia, quella vera si intende e non la miserabile scorza a cui quell’idea è stata ridotta. Quanto ai diritti, si tratta solo di chiacchiere o di qualche richiamo poco o per nulla impegnativo.
Questa caricatura burocratica di pseudo associazione sovranazionale monetaria ha gettato alle ortiche la cultura e l’ideale antifascista da cui è nata con grandi annunci e grandi speranze e preferisce prosternarsi davanti alla prepotenza dei potentati economico finanziari.
La Ue tollera con nonchalance i revanscismi fascisti, gli xenofobi e i razzisti, ma si accanisce con cinico piglio ideologico contro l’unico governo di sinistra del vecchio continente, quello della Grecia, perché si rifiuta di massacrare i ceti deboli.
Questa Europa non è molto dissimile da quella che assistette alla nascita del Nazismo, non ha imparato niente dalla lezione a parte la retorica del Giorno della Memoria. I leader europei sono sottomessi all’ossessione di estendere la Nato per ricreare la Guerra Fredda connaturata al volere egemonico degli Usa, il cui malcelato sogno è sempre stato quello di disseminare la frontiera con la Russia di installazioni militari per puntare i missili fra le natiche di Putin, il quale sarà anche un esecrabile autocrate, ma ha le sue ragioni, come non smettono di ricordare anche i “migliori” analisti statunitensi quali Henry Kissinger.
Ma l’Europa — e nella fattispecie la Mitteleuropa a stelle e strisce — preferisce di gran lunga convivere con le ragioni di fascisti xenofobi e revanscisti che precipitano l’odio verso immigrati e rom per fomentare l’infame guerra fra poveri, instrumentum regni il cui scopo è quello di perpetuare politiche regressive nei confronti dell’uguaglianza e della pari dignità sociale di tutti gli uomini.
Per quanto ci riguarda, la lezione più urgente da trarre dalla disseminazione di questi nuovi muri, è che l’antifascismo non è un vecchio arnese da soffitta della Storia, ma un ideale vivo e pulsante sinonimo di civiltà della democrazia.
E’ ora di riprendere il cammino della Resistenza per compierne il lascito.
fonte: L’Altra Europa con Tsipras
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Ho sempre avuto stima e ammirazione per Moni Ovadia. Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, uomo di straordinaria intelligenza, cultura e umanità. I suoi spettacoli mi hanno sempre entusiasmato, grande attore, grande musicista, un artista a tutto tondo, che ha saputo esprimere anche attraverso lo spettacolo i suoi grandi valori di vita. Condivido pienamente questo articolo, frutto del suo impegno politico e sociale. Grazie Salomone.
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Invasioni barbariche? Migrazioni di popoli? Migrazioni di massa?
di Lidia Menapace
Chiamiamo invasioni barbariche quelle che interessarono lo Stivale per alcuni secoli dopo la caduta del’Impero romano d’Occidente. Addirittura chiamando “regni romano-barbarici” quelli che ne derivarono in vari luoghi dell’Italia settentrionale.
Vediamo di intenderci sull’uso dei termini, a partire dalla toponomastica: ad esempio Bologna, che era una città etrusca col nome di Felsina, fu chiamata Bononia dopo l’invasione dei galli Boi; allo stesso modo Sena fu chiamata gallica, in Italiano Senigallia.. La Gallia cisalpina (cioé posta di qua: cis) divenne Lombardia dopo essere stata conquistata dai Longobardi. I Celti (altra tribù gallica) lasciarono nomi in -ate, come Linate, Trecate, Brembate, Tradate ecc. ecc.. Gotica, dopo le invasioni dei Goti fu detta la linea dell’antico confine d’Italia, sotto la quale linea era vietato dalle leggi romane portare armi ed eserciti. Appunto il varco del Rubicone da parte delle truppe comandate da Giulio Cesare ai suoi tempi fu il segno del suo colpo di stato e probabilmente Hitler pensò di ristabilire quel confine obbligando le sue truppe alla più feroce resistenza appunto alla “linea gotica”. ll cascinale dei Cervi, era su quella linea, verso l’Adriatico, come S.Anna di Stazzema lo era verso il Tirreno.
Mentre in Italia quegli arrivi di popolazioni straniere erano sentiti come invasione barbara da parte di popoli dei quali non si capiva la lingua e non si condividevano i costumi nè l’urbanizzazione, nelle popolazioni di origine germanica che ne furono per lo più protagoniste erano chiamate in modo neutro Voelkerwanderungen, cioé migrazioni di popoli, anche quelle provenienti dall’Asia (Attila di lì arrivava e per sfuggirlo fu costruita nella palude Venezia, che in effetti è una delle meno antiche città italiane).
Il termine greco barbaròs, barbaro significava balbuziente, incomprensibile, e conteneva un cenno di superiorità da parte dei Greci, che infatti riconoscevano come pari e non barbari solo gli Egizi, mettendo le basi del fenomeno che chiamiamo razzismo.
Non so in altri continenti, dei quali non conosco abbastanza la storia, ma certo in Europa un fenomeno di questo tipo, comunque lo si voglia chiamare, avviene dopo la caduta o la crisi grave di un assetto politico, economico, sociale e culturale di lunga data e segna un passaggio epocale. Non sembra che vi si possa porre ostacolo, per quanta ferocia e violenza si metta nel reprimerlo, controbatterlo, sconfiggerlo. Le popolazioni del nord arrivarono fino in Sicilia coi Normanni, a Trani è sepolto un re longobardo, Alarico è sepolto a Cosenza ecc.ecc. Queste estreme scosse geopolitiche spesso si intrecciano con periodi di straordinario favore, successo, gloria, splendore. E riportano la storia indietro di secoli: ad esempio le prime distrussero spesso le vestigia dell’ordine giuridico romano; la seconda di tali evenienze, cioè la scoperta dell’America, che fu contemporanea del Rinascimento, vide il ripristino della schiavitù, e oggi assistiamo quale guasto sulla fragile, sottile e superficiale crosta civile sta avvenendo in Europa, con non pochi segni di ritorno del Feudalesimo (le corporazioni, il lavoro non pagato dei e delle migranti).
Sembra dunque di poter sommariamente riassumere questo capitolo storico col dire che talora, nel bel mezzo di una storia che avanza secondo le sue intrinseche propensioni, gusti, cultura, scoperte ecc. ecc., si infilza qualcosa di estraneo, allotrio, incomprensibile, che genera panico e ripudio e fa tornare indietro quel complesso di convinzioni, giudizi, comportamenti, leggi ecc. ecc. che chiamiamo civiltà; si avvia una profonda ondata di insicurezza, ansia, panico, odio, respingimenti ecc. ecc.
Torno a ripetere che non pare vi si possa porre rimedio, meno che mai accentuando le previsioni di “invasione”, “cancellazione”, “perdita di identità” e simili: tutte queste “risposte” producono danni maggiori, e d’altronde non sono meccanicamente sostituibili con i soliti discorsi di buonsenso e buon cuore sull’accoglienza, accettazione, inclusione, ecc. ecc. Le prediche lasciamole al papa, ché gli spettano.
Ma allora: che fare?
Forse molte cose anche non coordinate e connesse tra loro, apparentemente casuali o anomale, guardando solo di evitare accuratamente il confronto sulle religioni, il passato, la storia e la gara tra le civiltà. I missionari, se hanno scelto di convertire l’Islam facciano, ma non diano il minimo sentore di politica alla loro predicazione, nè di carità o elemosina ai loro lavori.
Racconto ciò che ho provato a fare io. Premetto che da anni mi aspetto una ondata di Voelkerwanderungen, e mi chiedo in che rapporti esse siano con la crisi mondiale, globale, capitalistica, che agisce naturalmente mostrando attraverso le televisioni, i giornali, insomma i mezzi di comunicazione di massa, immagini affluenti, ricche, vantaggiose, dall’Europa e dagli USA, suscitando per contrasto desideri e proiezioni verso di noi. Sicché quando nelle parti povere del pianeta si cade nella miseria, carestia, e magari anche guerre e dittature, parte una migrazione di popoli che si scarica attraverso inenarrabili fatiche, rischi, privazioni, morti, sulle coste mediterranee e ci arriva addosso, a me nella forma di quelli, raramente quelle, che vendono per strada piccole merci o chiedono direttamente l’elemosina, oppure lavano i vetri delle automobili ai semafori, insomma ciò che sappiamo e vediamo ogni giorno.
Mi fa vergogna sia di dare qualcosa che di non dare nulla a chi chiede, ma poiché penso che loro preferiscono che io mi vergogni dando qualcosa, quando esco di casa per fare la spesa mi metto in tasca quei pochi euro che ogni giorno posso dare via. E perchè non pensino di essere una cassetta delle elemosine, sono solita salutare e chiedere da che paese vengono, da quanto sono in Italia, insomma che tempo fa. Rispondono volentieri, soprattutto gli Africani, che la seconda volta ti chiamano già mama.
Dopo un po’ di tempo, siccome un arabo (scoprirò poi marocchino, di Fez) vende asciugamani e calzini di buon cotone, se mi servono, mi servo da lui e lui a sua volta cerca di sapere chi sono chiedendo ad altri di Bolzano che abitano nelle vicinanze. Bolzano è una piccola città e la sua curiosità viene soddisfatta. Incomincia a chiamarmi dottoressa e si offre di portare fin sottocasa la spesa, va bene, intanto parliamo e lui a un certo punto dice che dove abita lui l’acqua c’é, però manca il pozzo.
Ma perché allora, se io riesco a mettere da parte del denaro mio o che mi viene dato, non lo raccogliamo allo scopo di scavare il pozzo? Loro ci mettono il lavoro, io aiuto a comprare le macchine ecc. La cosa si fa e infine ricevo quello che sono solita citare come il più bel complimento che abbia ricevuto in vita; ”dottoressa al mio paese anche gli asini ti vogliono bene”, poiché se c’è il pozzo bevono e si tolgono la sete anche gli asinelli, giusto. Ma poi – mi dice – c’è un grande cambiamento, anche le donne si riuniscono, lavorano, discutono, propongono, una cosa mai vista. “Caro, si chiama rivoluzione” gli dico tra il serio e il faceto.
Fatto il pozzo, le donne pensano che anche i loro cibi sono buoni e che se si fa un centro per i possibili turisti, si ha modo di vendere qualcosa. Detto fatto, a settembre ci andrò, per inaugurare il centro, che mi chiedono di poter chiamare menapace: benone, è un buon augurio.
Bisogna fare copie di questo? certo che no, è andata così per caso, però bisogna mantenere accesa la curiosità verso quel che succede e se ha dentro di sé anche timori e rischi, cercare se o cosa ha anche di utile o positivo e lavorarci sopra col massimo di eguaglianza possibile, senza montare in cattedra, ricordando sempre che noi europei ed europee abbiamo inventato fatto e praticato verso di loro il colonialismo più sfruttatore e che quindi se non ci sparano a vista, ma accettano di lavorare con qualcuno/a tra noi, sono generosi e intelligenti, speriamo vada tutto bene, io speriamo che me la cavo, appunto. Lidia
da Rifondazione Comunista
Lunedì 22 Giugno 2015

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