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Paola Cortellesi – La scientifica
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“Ferite a morte”
“Ferite a Morte” è nato come un progetto teatrale sul femminicidio scritto e diretto da Serena Dandini. Un’ antologia di monologhi sulla falsariga della famosa Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master costruita con la collaborazione di Maura Misiti, ricercatrice del CNR. I testi attingono alla cronaca e alle indagini giornalistiche per dare voce alle donne che hanno perso la vita per mano di un marito, un compagno, un amante o un “ex”.
Presentato prima in forma di lettura-evento, ha visto numerose donne illustri e note al grande pubblico facenti parte del mondo della cultura, dello spettacolo, della politica e della società civile, dare voce a un immaginario racconto postumo delle vittime, creando un’occasione di riflessione e di coinvolgimento dell’opinione pubblica, dei media e delle istituzioni.
“Tutti i monologhi di “Ferite a morte” – spiega Serena Dandini – ci parlano dei delitti annunciati, degli omicidi di donne da parte degli uomini che avrebbero dovuto amarle e proteggerle. Non a caso i colpevoli sono spesso mariti, fidanzati o ex, una strage familiare che, con un’impressionante cadenza, continua tristemente a riempire le pagine della nostra cronaca quotidiana. Dietro le persiane chiuse delle case italiane si nasconde una sofferenza silenziosa e l’omicidio è solo la punta di un iceberg di un percorso di soprusi e dolore che risponde al nome di violenza domestica. Per questo pensiamo che non bisogna smettere di parlarne e cercare, anche attraverso il teatro, di sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica”.
Dal 2013 “Ferite a morte” ha preso due strade: un tour internazionale “permanente”, che vede nella veste di lettrici degli spoon personalità femminili tra le più in vista dei Paesi che ospitano l’evento in tutto il mondo, in collaborazione con le istituzioni governative locali; un tour nazionale con una compagnia stabile composta da Lella Costa, Orsetta de Rossi, Giorgia Cardaci (fino al 2015), Rita Pelusio.
La scena teatrale è sobria: un grande schermo manda filmati ed immagini evocative.
Donne in bianco e nero, belle come attrici di Hollywood o di Cinecittà, sul cui volto si mescolano rose, uccelli, farfalle, aerei. Figurine femminili di ginnaste, contorsioniste e ballerine, solitarie, in equilibrio, colte nel culmine della tensione dell’esercizio o nel rilassamento. E’ il mondo di Rossella Fumasoni, artista romana che ha prestato la sua opera e i suoi personaggi dipinti per accompagnare la ‘spoon river’ di Serena Dandini e dare un volto, simbolico, alle voci delle donne vittime di femminicidio.
Rossella Fumasoni è pittrice e scrittrice, espone dal 1994 sia in Italia che all’estero.
Gli oggetti che hanno caratterizzato la tragica avventura delle protagoniste delle storie sono lì ad accompagnarle nei ricordi così come la musica che ne sottolinea gli stati emotivi.
Le attrici si alternano sul palco usando un linguaggio poliforme: un contrappunto emotivo, ora drammatico ora leggero, che usa i toni ironici e grotteschi propri della scrittura di Serena Dandini.
Lella Costa, artista tra le più lucide, appassionate, socialmente consapevoli e impegnate delle nostre scene, tre attrici attive in campo televisivo, cinematografico e teatrale.
Orsetta de Rossi, dopo il debutto nella Tv delle ragazze, ha preso parte a “Tutti pazzi per amore” e “I Cesaroni” e, al cinema, a “La seconda volta” di Mimmo Calopresti, “Matrimoni” di Cristina Comencini e “L’amore è eterno finché dura” di Carlo Verdone.
Rita Pelusio ha studiato mimo e clownerie e ha preso parte alle produzioni televisive “Markette” e “Colorado Café”, mentre in teatro ha lavorato con Natalino Balasso. Nel 2006 ha vinto il Premio Massimo Troisi come miglior attrice comica.
Ogni replica offre la possibilità di ospitare sul palco a leggere uno spoon donne in rappresentanza della società civile nel territorio di rappresentazione.
Tutti gli eventi teatrali di “Ferite a morte” sono stati occasione di sostegno alla rete D.i.Re, che accorpa tutti i centri antiviolenza in Italia, e alla Convenzione NO MORE! che chiede al Governo e alle istituzioni italiane di discutere urgentemente le proposte in materia di prevenzione, contrasto e protezione delle donne dalla violenza maschile.
“Ferite a morte” è un libro edito da Rizzoli. Il volume raccoglie tutti i testi prodotti per il palcoscenico ed è arricchito da una sezione dedicata alla descrizione del fenomeno del femminicidio, particolarmente curata da Maura Misiti.
“Ferite a morte” è un blog che raccoglie e diffonde notizie sul tema della violenza alle donne, informazioni sui centri di accoglienza, segnalazioni di progetti messi in atto dai sostenitori per avviare buone pratiche in materia, storie, appuntamenti, iniziative nate sulla scia dei testi di Serena Dandini. Al blog sono associati una pagina Facebook e un profilo Twitter, utili da un lato a rendere virale la diffusione dei contenuti, dall’altro a concentrare in quel luogo virtuale una comunità di uomini e donne uniti dalla necessità e dall’urgenza di questa battaglia di civiltà.
Fonte: http://www.feriteamorte.it/ferite-a-morte/
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Alba Rohrwacher – K2
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Non riesco quasi più a parlare di violenza sessuale, stupro, femminicidio. Non riesco più a guardare immagini di donne picchiate, stuprate, uccise. Sto male, sto fisicamente male, perché mi viene spontaneo immedesimarmi ed è come se sentissi su di me la violenza. Come se le cose che leggo o vedo fossero successe a me, sento il dolore fisico di un pugno, di un coltello che si infila nella carne, di una corda stretta al collo che mi soffoca. Non ce la faccio più!
Eppure so che non si può tacere, al contrario, bisogna parlarne sempre più se si vuole che questo fenomeno, sempre più in aumento, venga capito fino in fondo, venga respinto, stroncato. Se si vuole cambiare la mentalità da cui nasce e si sviluppa. La cultura dello stupro è basata sul potere dell’uomo sulla donna. Fino a quando non riusciremo a smantellare questo concetto, non penso che potremo mettere fine a questa atrocità.
La maggioranza degli stupri avviene tra le pareti domestiche, non come si pensa troppo spesso, ad opera di sconosciuti, o come si vuole far credere per meri e sporchi interessi politici, al fenomeno dell’immigrazione. Non lasciamoci ingannare da chi vuole ulteriormente strumentalizzare questa efferatezza per il proprio tornaconto. Uno stupro è uno stupro!, non importa se chi lo commette è nero, bianco, giallo o rosso! Non v’è differenza alcuna, è il frutto di una “forma mentis” che caratterizza tutte le popolazioni del mondo.
E, comunque, è nella famiglia stessa che si perpetua da secoli questa mentalità becera sulle donne.
Uno stupro ha veramente poco a che fare con la passione e la sessualità, è bensì un atto pseudo-sessuale dovuto ad ostilità, collera e controllo che dimostra solo un fondamentale bisogno di dominanza e forza. La vittima diventa un oggetto senza significato: la donna diventa il contenitore di tutte quelle emozioni negative di cui l’assalitore vuole sbarazzarsi, come se si trattasse di un’“infezione psichica”. A muovere lo stupratore sono la pretesa di essere come Dio, il Sé grandioso, la mancanza di empatia.
Quanto ancora le donne dovranno essere un “sacrifico” umano sull’altare dell’ uomo che deve dimostrare con la forza la propria superiorità di genere? Siamo solo una “categoria”, così come lo sono i bambini, violentati, stuprati, negati, non persone, non esseri umani, solo fragili oggetti da usare a proprio piacimento.
Certo non dovremo stancarci o smettere di batterci per smantellare questo convincimento, ma io la speranza un po’ l’ho persa, non sono bastati secoli, non sono bastate lotte di milioni di donne in tutto il mondo, che seppure siano servite alla conquista di diritti civili spesso negati, non sono riuscite a sgretolare neanche un solo sassolino dal macigno che rappresenta una mentalità gretta e pericolosa … vedo tutto molto, molto lontano. Anche riuscendo, come madri, a crescere i figli maschi senza che in loro si sviluppi un senso di predominio nei confronti delle donne, e non so come, perché non servono discorsi quando poi si dimostra il contrario con i comportamenti che si tengono, anche riuscendoci, quante generazioni dovranno passare? Tante, tantissime, troppe!
Nonostante la mia speranza si sia un poco affievolita, ho scelto, comunque, di parlarne, altrimenti mi sembrerebbe di arrendermi prima di aver combattuto, di non fare la mia parte. Ma ho scelto di parlarne in questo modo, senza immagini scabrose, che mi colpiscono e mi fanno star male, non per negare la realtà delle cose, ma perché a volte colpisce di più di una immagine che, per quanto drammatica, si cancella velocemente e scompare in un attimo. Un video, uno spezzone di “teatro” che racconta, che lo fa utilizzando toni ironici e grotteschi, che ci fanno anche ridere, ma che, proprio per questo, restano spesso più impressi nella mente e ci danno modo di riflettere.
E nella riflessione, amiche mie, sorelle, donne, non dite mai “se l’è cercata”, pensate a quanto sono orribili queste parole, nessuna donna, per qualsivoglia comportamento possa tenere, va a cercarsi la violenza. Nessun uomo ha il diritto di praticarla, per nessun motivo al mondo!
Quando pronunciate questa terribile frase, pensate che quella donna avrebbe potuto essere vostra figlia, vostra sorella, vostra madre, voi stesse.
Ogni donna violata sono io, cominciamo tutte a sentirci coinvolte, a condividere, ad essere unite. Non facciamo il gioco di chi vuole renderci deboli, sempre più fragili, per poterci annientare e sopraffare, perpetuando noi stesse questa becera cultura. Non disperdiamo la nostra forza, la nostra grande sensibilità, la nostra capacità di combattere, abbiamo tante altre cose da dire, usciamo dal silenzio per dire cose migliori di questa. Spieghiamo, invece, al mondo che siamo in grado di trasformare in sfida, vincendola, la grande gioia di essere donne.
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Angela Finocchiaro – Un chilo di zucchero
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