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Ferragosto magico … nei dintorni di Mantova …   3 comments

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Il Borgo delle Grazie di Curtatone

Uno degli eventi più tradizionali in provincia di Mantova si svolge a Curtatone nel mese di agosto, si tratta dell’Antica Fiera delle Grazie nel periodo di Ferragosto.

Ogni anno il 15 agosto in coincidenza con una delle maggiori feste che la Chiesa dedica alla Madre di Dio nel giorno della sua Assunzione, si rinnova l’antichissima Fiera delle Grazie, le cui origini risalgono al 1400.

Il nome del Borgo deriva dalla presenza di un luogo di culto chiamato dal 1362 Santa Maria delle Grazie e documentato dal 1037. L’odierno santuario si trova nel punto in cui sorgeva la chiesa medievale di Santa Maria di Reverso.

Il nucleo storico di Grazie è rappresentato dal Santuario della Beata Maria Vergine delle Grazie e dagli edifici posti sul perimetro della piazza antistante. La parte più antica è quella delle abitazioni a schiera in via Madonna della Neve, nelle quali si riconosce – nonostante le trasformazioni avvenute – la cellula originaria che diede luogo nel tempo alle varie tipologie edilizie. Case di pescatori, dunque, e case sorte dalla chiusura dei portici che contornavano la piazza, come quelle sul lato destro della stessa, che ospitavano botteghe e ricoveri per i pellegrini. All’ingresso della piazza si nota un edificio liberty, Palazzo Sarto.

Il santuario, in posizione rialzata sui canneti del Mincio, ha il fiume che gli scorre alle spalle e la facciata rivolta verso il borgo. Iniziato nel 1399 e consacrato nel 1406, è in stile gotico lombardo, ingentilito da una loggia composta di tredici archi a tutto sesto sostenuti da quattordici colonne. Le lunette sotto il porticato, affrescate nel Seicento, raccontano la storia del luogo. La pianta è rettangolare a una sola navata senza transetto. L’architetto è stato identificato in Bartolino da Novara, lo stesso che progettò il castello di San Giorgio a Mantova.

Varcata la soglia della chiesa, si è colti da stupore profondo. Una folla di statue ex-voto sembra protendersi verso lo spettatore dalle nicchie in cui sono collocate. Le sculture fanno da quinta a un teatro dei miracoli cinquecentesco e barocco. Pare che l’impalcato ligneo a doppia loggia sia stato costruito nel 1517 da frate Francesco da Acquanegra per mettere ordine ai molti doni votivi accumulati negli anni: grucce e schioppi dei miracolati, ex voto anatomici in cera (mani, occhi, seni, bubboni pestiferi, dei quali i fedeli chiedevano la guarigione) e infine figure in legno, stoffa e cartapesta di pellegrini illustri, di devoti imploranti una grazia o di scampati da pericoli mortali. Ci sono le nobildonne, ma anche una figura femminile con cappello di paglia chiamata, per l’aspetto dimesso, “la miseria delle Grazie”; ci sono il cardinale, soldati in abiti cinquecenteschi, il salvato dall’affogamento, il salvato dall’impiccagione, il boia; e ghirlande, bizzarrie barocche, la cera usata come decorazione, così spagnolesca. I frati rimpiazzavano le povere rivestiture di stoffa che andavano in pezzi: uno di loro, Serafino da Legnago, è raffigurato nella nona statua a destra dall’ingresso della navata.

Su ottanta nicchie, ne restano 53 contenenti la scultura. Il tutto fa pensare a una Wunderkammer (casa delle meraviglie), uno di quei musei eclettici del Cinque e Seicento, dove gli oggetti erano contenuti in armadi e scansie o appesi alle pareti e al soffitto, come il coccodrillo impagliato d’inizio Quattrocento, segno del demonio che fugge davanti alla Madonna.

Le cappelle della chiesa custodiscono straordinari monumenti sepolcrali, come quello – a firma di Giulio Romano (1529) – in cui riposa, nella cappella di famiglia decorata a grottesche, Baldassarre Castiglioni, intellettuale e diplomatico, autore di uno dei libri più letti del tempo, Il Cortegiano. Il bellissimo Martirio di San Sebastiano di Francesco Bonsignori (1495), allievo di Andrea Mantegna, adorna la cappella Zibramonti. Il monumento di Bartolomeo Pancera è un’opera d’inizio Seicento attribuita ad Antonio Maria Viani.

Magnifica è la decorazione delle vele delle volte, di gusto gotico internazionale. Nell’altare maggiore (1646) sopra il tabernacolo è inserita l’icona miracolosa della Madonna delle Grazie adorata dai pescatori, una tavola su pioppo di anonimo quattrocentesco che mescola tratti popolari con echi bizantini. Nella sacrestia sono conservate numerose tavolette votive dipinte tra Seicento e Ottocento.

La storia del santuario, della fede che lo circonda e dell’affollata Fiera delle Grazie, che si svolge a metà agosto, si perdono nelle nebbie del passato.

Tanto tempo fa, proprio qui sulle rive del Mincio, non lontano da Mantova, tra canne palustri e inestricabili canali c’era un rudimentale tempietto con dentro l’immagine della Vergine.
Chi abitava nel vicino, piccolo borgo, per lo più boscaioli e pescatori, veniva spesso ad adorare la sacra effigie, a chiedere qualche grazia, e a volte la Madonna li esaudiva. Così loro, per ringraziare, ritornavano ogni volta a pregare e a offrire ex voto. La fama della Madonna del Mincio che faceva miracoli tra voli d’uccelli e guizzi di pesci, valicò ben presto quei piccoli confini. Così incominciarono ad arrivare anche mercanti, nobili, persino principi e sovrani.
Uno di loro, Francesco Gonzaga, per scongiurare l’incubo della peste, era il 1399, fece addirittura il voto di innalzare un sontuoso tempio. E già nel 1406 era pronto per stupire.
Vi si insediò un’operosa e devota comunità di francescani, mentre sul grande piazzale del santuario, di pari passo con l’affluire dei pellegrini, crebbe a dismisura una fitta, brulicante attività di commercianti, girovaghi e avventurieri.
Era un caos, tanto che l’11 agosto 1425 il marchese Gianfrancesco Gonzaga istituì il libero mercato delle merci di Grazie, pubblicando la prima grida che regolamentava i traffici. Per esempio stabiliva la distanza della fiera dal santuario, il tipo di merce che si poteva esporre e il relativo prezzo.

Oggi come allora, davanti al tempio, nel cuore dell’infuocata estate mantovana, il sacro e il profano s’incontrano: i madonnari coi gessetti da una parte, la festa con le bancarelle dall’altra.

Lasciando questo luogo dei miracoli in cui s’intrecciano fede, suggestione, scenografia del sacro, istinti profondi, si scende “là dove il Mincio si disperde in giri lenti e contorti orlando le rive di canne flessuose ” (Virgilio, Georgiche, III). Dal fiume, il santuario – che i pellegrini e i Gonzaga raggiungevano più in barca che via terra – appare come una visione di linee tondeggianti e slanciate sul ciglio di una vasta distesa di canneti.

Oggi il vanto di Grazie è il fiore di loto che nei mesi di luglio e agosto fa la sua lussureggiante apparizione sul Lago Superiore. Il loto è stato importato dall’Oriente nel 1921 da una naturalista mantovana.

Un tempo i prodotti del borgo erano quelli ricavati dalla coltivazione della canna palustre, come le “arelle”, usate soprattutto come coperture leggere per i controsoffitti, e il carice, con cui s’impagliavano sedie e fiaschi.

Un piccolo borgo ma oggi con tanti ristoranti dove provare il famoso luccio in salsa, piatto principe di una cultura gastronomica legata ai cibi di terra della tradizione contadina e ai cibi d’acqua dolce dei pescatori.

Ogni anno il 13 agosto, la sfilata storica per le vie del borgo delle Grazie inaugura la tradizionale Fiera che anima uno dei “Borghi più belli d’Italia” fino al 17 agosto. L’antichissima fiera è un appuntamento imperdibile nell’estate mantovana, moltissimi eventi, connubio tra fede, arte, cultura, gusto e intrattenimento. Mentre si visita la fiera e si fanno acquisti presso i numerosi banchetti non si può non ammirare il Borgo. A lato della piazza vi è una viuzza che porta al porticciolo sul lago. In questo ampio angolo di verde, durante la Fiera viene allestito l’accampamento medievale.

Dalla sua fondazione, circa 600 anni fa, protagonista della Fiera è il suo grande mercato e negli ultimi anni l’incontro nazionale dei madonnari è un’altro punto forte: più di 100 artisti “Madonnari” si prodigano, per una notte e l’intero giorno successivo, nella realizzazione di opere suggestive ed emozionanti, che trasformano il Sagrato del Santuario in una “galleria dell’effimero” unica al mondo. E’ questa la magia che si ripete ogni anno, nella notte del 14 e nel giorno del 15 agosto, festa dell’Assunta.

Dal 1973, anno del primo raduno, i madonnari arrivano da tutto il mondo: Stati Uniti, Ecuador, Spagna, Germania e via dicendo. Pochissimi i maestri, pochi i qualificati, la maggior parte madonnari semplici.
Guardandoli lavorare sembrano padroni solo di sé stessi, silenziosi, immersi in mille piccole solitudini. In realtà interpretano nel modo migliore il senso profondo del raduno. Il loro incontro multietnico è un messaggio di solidarietà, pace e coraggio e anche un invito ideale alla tutela e alla conservazione di quest’antica forma d’arte, sacra e popolare insieme.
Alcuni anni fa, ne arrivò un nutrito gruppo dalla California. Per questi artisti d’oltreoceano mostrare una fotografia che li ritrae al lavoro davanti al santuario di Grazie è segno di prestigio e spesso un notevole lasciapassare professionale.

Tutti i madonnari, italiani e stranieri, incominciano a realizzare i loro capolavori sul far della sera del 14 agosto, subito dopo che il vescovo di Mantova ha effettuato la rituale benedizione dei gessetti. Un po’ di anni fa, nel giugno del 1991, andò in visita al santuario Papa Giovanni Paolo II, il quale si inginocchiò e tracciò sul selciato dei piccoli segni grafici che oggi fanno parte del logo del Centro Italiano Madonnari.
Dopo la benedizione, quando il sole è tramontato e il caldo si fa più tollerabile, i madonnari incominciano a lavorare nel quadrato loro assegnato e chi ce la fa tira diritto per tutta la notte, alla luce dei fari, uno di fianco all’altro in file parallele. Loro sono artisti che vengono a dare spettacolo di pittura, e vanno ammirati mentre lavorano. I madonnari sono ritenuti gli eredi dei pittori di icone bizantine del tardo Medioevo, quei personaggi sempre al verde ma pieni di estro che adoperavano i colori ricavati da terre e pigmenti naturali, senza collante, per riprodurre le opere dei grandi maestri del rinascimento, esponendoli alla vista degli uomini di tutte le categorie sociali.
Uno di questi bazzicava Venezia intorno al 1500, si chiamava Domenico Theotokópulos, ma tutti lo chiamavano El Greco.

La loro era una sorta di inconsapevole missione spirituale che purificava e istruiva di porta un porta, di villaggio in villaggio. I madonnari del nuovo secolo, quelli doc (ormai sempre più rari) sono “cantastorie di strada” e come i girovaghi di un tempo vivono delle offerte dei passanti. Perciò sono spesso visti come accattoni senza meta da guardare con sospetto. Solo da poco sono stati tolti dal ghetto dell’emarginazione grazie ad alcuni interventi del Ministero dei Beni Culturali. Sono diventati artisti con una dignità professionale, ma resta ancora molto da fare.
In ogni caso, alle Grazie, se ne trova ancora un gran bell’assortimento. Visitare questo luogo è anche il modo di entrare in un’altra dimensione. Girando intorno ai madonnari ci si accorge presto che il mondo visto dal basso ha proprio tutta un’altra prospettiva. Capita di veder spuntare dal cemento un’icona mariana dell’ottavo secolo, una Madonna del Perugino in una magica atmosfera virginale, la mano protesa della Madonna di Raffaello o qualche Vergine del Settecento liberamente interpretata. Il tema del raduno, l’iconografia cristiana, è rigidamente stabilito fin dalle origini: non è mai cambiato. E i madonnari di ogni latitudine, anche se di diversa religione, si adattano sempre alla regola. Realizzano opere di soggetto sacro o devozionale, riproducono con maestria i capolavori del passato o traggono ispirazione dalla Bibbia, dal Vecchio o dal Nuovo Testamento.

L’importante è stupire, lasciare su piazze e marciapiedi una effimera ma gradevole impronta che attiri l’attenzione e desti meraviglia, prima di dissolversi nel nulla.

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