Come cambia le cose
La luce della luna
Come cambia i colori qui
La luce della luna
Come ci rende solitari e ci tocca
Come ci impastano la bocca
Queste piste di polvere
Per vent’anni o per cento
E come cambia poco una sola voce
Nel coro del vento
Ci s’inginocchia su questo
Sagrato immenso
Dell’altipiano barocco d’oriente
Per orizzonte stelle basse
Per orizzonte stelle basse
Oppure niente
E non è rosa che cerchiamo non è rosa
E non è rosa o denaro, non è rosa
E non è amore o fortuna
Non è amore
Che la fortuna è appesa al cielo
E non è amore
Chi si guarda nel cuore
Sa bene quello che vuole
E prende quello che c’è
Ha ben piccole foglie
Ha ben piccole foglie
Ha ben piccole foglie
La pianta del tè.
*** ***
Un pezzo magico,di grande introspezione, emozionante e da brividi sulla pelle, il cui fascino notturno, lunare e misterioso, nella versione originale è musicalmente creato dal contrasto tra i vellutati flauti di canna andini e le percussioni ostinate e inquietanti, che, però, non sono mai esagerate o invadenti. Strumenti quali Antara e Kena, flauti suonati da Uña Ramos, sprigionano tutto il loro potere magico e ci trasportano in vetta a qualche picco cileno o peruviano e poi più in alto, fino al cielo. Non da meno la versione di questo video, in cui archi e pianoforte creano magistralmente lo stesso clima di mistero e ci fanno viaggiare in luoghi e tempi lontani.
Suoni dai sapori etnici, dicevo, che accompagnano un viaggio più profondo, quello dell’uomo dentro se stesso, partendo dal cammino di popoli nomadi che tanti secoli fa percorsero un tragitto che iniziava dall’India per arrivare in Europa, che dal Mediterraneo li portò fino in Africa e nel Medio Oriente, popoli diversi da noi, ma che ci trasmettono un senso straordinario di umanità errante.
L’India, vista come un “sagrato immenso” dove le nostre sofferenze e la nostra stessa esistenza acquistano il vero significato.
C’è un cammino ed una ricerca, ci ritroviamo a scrutare il nostro passato, a trovare una collocazione del nostro presente, a sognare un futuro che sarà senz’altro migliore, se sapremo prendere consapevolezza di noi stessi.
Certo non si può volere l’impossibile, meglio restare aggrappati alla ricerca di qualcosa di reale e soprattutto possibile: “Chi si guarda nel cuore sa bene quello che vuole e prende quello che c’è”. Meglio guardare in noi stessi, ripercorrendo la nostra vita passata, per arrivare a capire come vogliamo vivere quella futura, che uomini vogliamo essere per conquistare le nostre mete.
Così, come fecero i nomadi in cammino, anche noi, se percorreremo la nostra vita lasciandoci alle spalle pesi che ci soffocano e ci tolgono il fiato, se non ci faremo condizionare da tutte le apparenze ingannevoli, le illusioni di grandi luci a portata di mano, potremo affermare che il nostro viaggio non è stato sterile e infruttuoso, ma che ci ha fatto conoscere la nostra vera dimensione.
E, dopo questa lunga ricerca di noi stessi, questo lungo viaggio di riflessione dentro la nostra anima, potremo approdare in un luogo sicuro dove sentirci meno fragili, perché, nel cammino, avremo acquisito una forza che ci permette di non abbandonare i nostri piccoli sogni e a perseguirli, invece, fino alla loro realizzazione, perché avremo scoperto in noi una umanità nuova che ci fa vivere più consapevolmente, che ci fa gioire delle piccole cose, delle nostre piccole, grandi emozioni … “ha ben piccole foglie la pianta del tè” …
“Nonno, perché gli uomini combattono?”
Il vecchio, gli occhi rivolti al sole calante, al giorno che stava perdendo la sua battaglia con la notte, parlò con voce calma.
“Ogni uomo, prima o poi, è chiamato a farlo. Per ogni uomo c’è sempre una battaglia che aspetta di essere combattuta, da vincere o da perdere. Perché lo scontro più feroce è quello che avviene fra i due lupi.”
“Quali lupi, nonno?”
“Quelli che ogni uomo porta dentro di sé.”
Il bambino non riusciva a capire.
Attese che il nonno rompesse l’attimo di silenzio che aveva lasciato cadere fra loro, forse per accendere la sua curiosità.
Infine, il vecchio che aveva dentro di sé la saggezza del tempo riprese con il suo tono calmo.
“Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, bugie, egoismo.”
Il vecchio fece di nuovo una pausa, questa volta per dargli modo di capire quello che aveva appena detto.
“E l’altro?”
“L’altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede.”
Il bambino rimase a pensare un istante a quello che il nonno gli aveva appena raccontato.
Poi diede voce alla sua curiosità ed al suo pensiero.
“E quale lupo vince?”
Il vecchio Cherokee si girò a guardarlo e rispose con occhi puliti.
“Quello che nutri di più.”
Dicembre nella stanza
vuota mi inoltra. Duole
agli occhi quel riflesso
di sole che si insinua
dalle persiane. Sole
sul bianco soffitto
due mosche immote stanno.
Ma la vita continua
dicono. Il raggio fruga
inquieto l’ombra, sfiora
il letto intatto. Dentro
lo specchio c’è una fuga
di oggetti che ti ignorano.
Rigermina, all’inganno
del raggio, una precaria
estate. Ed ebbre, adesso,
le mosche in una danza
d’amore e morte vanno.
La vita è così varia.
D’oro per un momento
palpitano nell’aria;
poi giù sul pavimento
scendono a capofitto
come la mia speranza.
Homesville era un bel posto, almeno questo era ciò che la gente che viveva lì diceva. Le persone che erano cresciute lì amavano così tanto quel posto che quasi sempre sceglievano di rimanerci e di mettere su famiglia.
Homesville aveva tutti i comfort di una grande città, ma la gente conosceva i propri vicini, quando si camminava per la strada, c’era sempre qualcuno che ti sorrideva e ti chiedeva come andavano le cose…
Jack era uno dei cittadini di Homesville, tutti lo conoscevano e tutti gli volevano bene, aveva un sacco di amici. Jack avrebbe trascorso la maggior parte del suo tempo a giocare a calcio, basket, baseball o con gli amici, ma non ne aveva uno con cui poter solo parlare.
Successe quasi per caso, Jack era seduto nella sua auto di fronte alla biblioteca, a sognare a occhi aperti come al solito, quando vide una ragazza seduta sulla panchina della fermata degli autobus dall’altra parte della strada, indossava un abito da festa e sembrava fosse lì ad aspettare da tanto tempo.
“Questa è la ragazza più bella che abbia mai visto”, disse Jack, avrebbe voluto presentarsi, ma le ragazze lo rendevano sempre nervoso, gli sembrava di non riuscire mai a dire la cosa giusta. Alla fine si fece coraggio, raggiunse la panchina e si sedette. La ragazza teneva lo sguardo fisso in avanti. Jack sentì il suo cuore battere forte nel petto.
“Ciao”, disse timidamente.
La ragazza non rispose.
“Il mio nome è Jack”, continuò.
Poi Jack sfiorò leggermente la spalla della ragazza che improvvisamente sembrò risvegliarsi, si voltò a guardare Jack, sembrava che ci fosse un po’ di paura nei suoi occhi.
“Ciao, il mio nome è Mary” disse piano.
Jack vide che Mary tremava per la fresca aria autunnale, così le diede la sua giacca, rimasero seduti sulla panchina per molto tempo, Jack parlò di continuo mentre Mary gli sorrideva e scambiava qualche parola gentile.
Si era fatto molto tardi, Jack riaccompagnò la ragazza, quando si fermarono davanti casa, Mary si chinò e gli diede un rapido bacio sulla guancia, il ragazzo la guardò in piedi davanti alla porta di casa. Prima di entrare lei si voltò, guardò Jack, e sorrise. Era il più dolce sorriso che Jack avesse mai visto.
La mattina dopo, Jack raccolse un piccolo bouquet di fiori e andò a casa della ragazza, gli aprì una vecchia signora, il ragazzo chiese se poteva vedere Mary, la vecchia lo guardò sorpresa.
“Mary?”, osservò il ragazzo con attenzione, poi gli mostrò una foto appesa e gli chiese:
“E’ questa la ragazza che ha parlato con te la notte scorsa?” .
“Sì”, rispose lui.
“Io sono la signora Sweet, la madre di Mary”, disse. “Mary è morta quasi venti anni fa”.
Jack non credeva a quello che stava sentendo.
“Tutti amavano Mary “, disse la signora Sweet. “Anche se incontrava qualcuno per la prima volta gli parlava come se lo conoscesse da sempre. Questa casa era sempre piena di suoi amici, di risate e di allegria,” la signora Sweet fece una pausa. “Tu non sei la prima persona che viene a dirmi che l’ha vista. Mi piace pensare che lei è vicina”.
Jack era sconvolto.
“E’ vero, Jack”, disse la signora Sweet, si fermò e si asciugò una lacrima. “Mary è sepolta nel Cimitero di Homesville”.
Jack lasciò la casa di Mary e corse fino a raggiungere il cimitero. Quando vide la giacca che aveva dato a Mary appesa ad una lapide, si arrestò. Poi vide ciò che era scritto sulla lapide:
Sweet Mary
14 gennaio 1942 – 5 maggio 1958
Jack mise i fiori sulla tomba di Mary. Non sapeva che il fantasma di Mary era appollaiato in cima alla lapide, a guardarlo da vicino.
“Non avrei potuto mai immaginarlo”, disse Jack. “La mia giacca è proprio qui!”
Jack prese la giacca e la tenne stretta a lui, notò che si sentiva vagamente un profumo.
“Sono sicuro che hai indossato questa giacca e che eri alla fermata dell’autobus!” esclamò, si mise a camminare cercando di mettere insieme questo puzzle così complicato.
“C’erano così tante cose che avrei voluto dirti”, disse Jack.
Allora Mary si avvicinò a Jack e disse: “Non essere triste. Sono qui”.
Jack non poté sentire la sua voce, ma avvertì la pelle d’oca sulle braccia nel momento in cui lei gli sussurrò in un orecchio.
Non avrebbe mai saputo che Mary, la ragazza più dolce che avesse mai incontrato, era venuta a dirgli addio.
Associazione Culturale Opera X , progetto Fiabe n.2
Quante volte vi è capitato di cercare una cosa e di non riuscire a trovarla?
– Eppure era proprio qui… l’ho vista poco fa!! –
– Ma dove è finita… proprio ora che mi serve! –
Ed ancora abbiamo sentito spesso dire:
– Sono sicuro di aver posato lì il mio libro… qualcuno deve averlo preso! –
– Accidenti non era nemmeno mio… ora come farò a restituirlo?! –
Per molti questi sono piccoli misteri, per me è invece l’opera abilmente congeniata del “folletto che sposta le cose”
Come… non lo conoscete?!… Davvero?
Ascoltate bene di che si tratta:
Tu posi le chiavi sul tavolo
Lui ti osserva, ti segue e… le sposta!
Ed ora ecco… sono lì, proprio vicino alla finestra. Metti le scarpe vicino al letto.
Non fai nemmeno in tempo ad andare in una altra stanza che, con un rapido gioco, lui le porta accanto all’armadio.
Attenzione però! Questo folletto non ruba e non nasconde ad arte gli oggetti. Si diverte solo a spostarli da un luogo ad un altro… magari solo un pochino più in là, dove i nostri occhi non lo hanno ancora notato.
E qualcuno ha per caso mai capito il perché di questa sua, chiamiamola, “passione”?
Probabilmente no!
Forse lo fa perché ama vedere la gente cercare…
Magari egli pensa che ognuno dovrebbe sempre mettere almeno in parte in discussione le proprie certezze… Oppure gli piace spronare la gente. Costringendola in questo modo a guardare un po’ più in là rispetto a dove sono abituati a farlo di solito… E sapete amici, come reagiscono le persone che non riescono a trovare ciò che cercano?
Alcuni si arrabbiano, si agitano, urlano e se ne vanno imprecando contro ogni cosa gli capiti a tiro…
Altri cercano di ricostruire il loro passato, ripercorrendo esattamente i propri passi… lo fanno anche per delle ore con tenacia e precisione… Altri ancora vanno cercando dei colpevoli. Vogliono per forza dare colpa a tutti! Ma dimenticano quasi sempre se stessi e le proprie responsabilità…
Ma quelli che questo folletto proprio non digerisce, sono coloro che smettono di cercare. Quelli che abbandonano tutto, si tirano indietro senza nemmeno provare. Senza pensare che, quello che vanno cercando, magari è proprio lì! sotto il loro naso…
Ma insomma! (vi chiederete…) Perché esiste il folletto che sposta le cose?
Che bisogno c’era di inventare un essere così dispettoso?!?!
Qualcuno pensa davvero che sia necessario o che serva a qualcuno? Io, in cuore mio, penso proprio di sì.
Io credo che egli sposti le cose per poi darci il piacere di ritrovarle. Come se volesse farci capire, a suo modo, che nulla si perde per sempre… nemmeno l’amore…
E sapete perché io dico questo?
Lo dico perché, troppo spesso gli uomini apprezzano ed amano le cose solo dopo aver temuto anche solo per un istante… di averle perdute.
A proposito… qualcuno ha visto la mia penna?!!
Più bello della pregevole luna con la sua nobile luce,
Più bello delle stelle, illustri decorazioni della notte,
Molto più bello dell’infuocato apparire di una cometa
E a cose assai più belle di tutti gli astri designato,
Poiché da lui ogni giorno la vita tua e la mia dipende, è il sole.
Bel sole, che sorge e non ha dimenticata né ultimata
L’opera sua, bellissimo d’estate, quando la giornata
Evapora dai litorali e le vele pendule a specchio dei tuoi occhi
Trascorrono, finché tu stanco ne dimezzi l’ultima.
Priva di sole, riprende il velo anche l’arte:
Tu non mi appari più, e il mare e la sabbia,
Flagellati dalle ombre, mi fuggono sotto le palpebre.
Bella luce, che dona calore e custodisce e meravigliosa
Provvede a ridonarmi la vista, a ridarmi la vista di te!
Cosa più bella sotto il sole non v’è che star sotto il sole…
Guardare il palo nell’acqua e, sopra, l’uccello
Che medita il volo, e sotto, i pesci a schiere,
Variopinti, ben fatti, venuti al mondo con una missione di luce;
E guardarsi intorno: il quadrato di un campo, il frastagliato
profilo del mio paese,
E l’abito che hai indossato. Il tuo abito, azzurro, a campana!
Il bel azzurro, dove i pavoni passeggiano facendo riverenze,
Azzurro delle lontananze, delle regioni felici con i baleni
propizi al mio estro,
Azzurra incognita dell’orizzonte! E i miei occhi entusiasti,
Di nuovo si slargano e brillano, e perdutamente riardono.
Bel sole, cui la polvere deve l’ammirazione più alta,
Non per la luna né per le stelle, né perché la notte
Vogliosa di beffarmi sfoggia comete, ma per amore
Di te, all’infinito, e per null’altro al mondo, io farò
Lamento su l’ineluttabile perdita dei miei occhi.
Sono commossa nel leggere questa notizia, non se ne vedono tante di questo tipo. Ritengo che l’amicizia sia una grandissima forma d’amore e questa ne è la dimostrazione. Sono fortunata, ho degli amici veri, che mi aiutano nei momenti di difficoltà, li conto sulle dita di una mano, ma ci sono, ogni giorno ho la prova di questo amore, mi emoziona pensarci e a volte mi chiedo che ho fatto io per meritarmeli … li amo, semplicemente …
Nelle azzurre sere d’estate, andrò per i sentieri,
punzecchiato dal grano, a pestar l’erba tenera:
trasognato sentirò la frescura sotto i piedi
e lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.
Io non parlerò, non penserò più a nulla:
ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,
e me ne andrò lontano, molto lontano come uno zingaro,
nella Natura, lieto come con una donna.
Vedessi com’è grande il pensiero del mare
dove il mio dolce amore oggi è andato a pescare.
Vedessi come è grande la vela del pensiero
eppure sono sola come un vecchio mistero.
Vedessi che coralli ci sono in fondo al mare
e lui non mi ha pescato perché doveva andare.
Vedessi come piango un pianto universale
un amore così bello non doveva far male. *****
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