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Tanztheater: Pina Bausch!   32 comments

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La danza è maestra di vita. E’ La danza che ti insegna i valori della passione, della dedizione, del sacrificio, del dolore e dell’amore. Se la ami realmente sarai in grado di dedicarle il tuo tutto: corpo, anima, cuore e tempo. Potrà capitare di avere ripensamenti e di temere che ogni sforzo sia vano, ma ogni volta che danzerai capirai di esserti sbagliato e tornerai a vivere.
La Danza costituisce un tipo di linguaggio particolare, perché non usa la parola come la poesia, né il suono come la musica, né tele o colori, creta o marmo come la pittura e la scultura.

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Gli antichi hanno fatto della danza un’arte di ispirazione divina e di elevazione morale e civile; ma in ogni tempo, tutti i popoli l’hanno fatta elemento fondamentale della propria cultura. Nelle civiltà antiche indiane, cinesi ed egiziane, la danza voleva raffigurare il corso armonioso degli astri. I greci posero la danza sotto la protezione della musa Tersicore, facendone così un simbolo della propria cultura.  

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Per i romani, invece, assunse la forma di pantomima, continuando a trasformarsi fino alla depravazione. In seguito all’avvento del Cristianesimo, anche se inizialmente fu accolta nei riti all’interno delle chiese, poi fu condannata dalla Chiesa perché ritenuta una manifestazione peccaminosa dove protagonista assoluto era il corpo, quindi il male … 

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Dal medioevo in poi diviene una disciplina rigidamente regolata da leggi e ferree imposizioni. La danza popolare nel medioevo ha delle caratteristiche di follia ed è spesso legata all’idea della morte o del diavolo. 

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Per molti secoli la danza fu un fenomeno rivolto a tutti, dove non esisteva una vera e propria distinzione tra ballerini professionisti e semplici amatori.
Fu nel ‘600,in particolare in Francia, che nacque la prima accademia di danza. Il minuetto è la danza simbolo dell’epoca. 
Il ‘700 vide l’apparizione in scena delle danzatrici. L’invenzione del pianoforte portò le scuole di balletto a formare danzatori sempre più abili e dotati.

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L’’800 è caratterizzato dal valzer, che rappresentò il desiderio giovanile ed inebriante, il ritmo espansivo, l’esuberanza del secolo.

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Il balletto classico diventa una delle tendenze culturali più seguite ed amate.
La danza classica o “accademica” è una delle forme di danza teatrale più conosciute e sicuramente la più antica.

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Bisogna aspettare il ‘900 perché la danza riacquisti il suo valore “primitivo”… Il ventesimo secolo, infatti, è un’officina in fermento di esperimenti sulla danza.
La danza moderna si è sviluppata all’inizio del Novecento nel Nord Europa grazie a Rudolf Laban e Mary Wigman e negli Stati Uniti d’America, a partire dalle espressioni libere iniziate da Isadora Duncan e Ruth St. Denis, si è poi definita con varie tecniche grazie a Martha Graham, Doris Humphrey, Charles Weidman e José Limón. Martha Graham, in particolare, è stata la fondatrice di un nuovo alfabeto della danza moderna.

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La danza contemporanea prosegue la rivoluzione attuata dalla danza moderna a favore di nuove espressioni corporee, che talvolta comprendono anche la recitazione di testi.

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Tra le figure di spicco della danza del secondo Novecento, centrale è quella di Pina Bausch. La coreografa tedesca è stata la fondatrice, nella sua scuola di Wuppertal, della Tanztheater, il teatro-danza. Non si tratta di una nuova tecnica di danza, ma di un modo di interpretare la realtà personale, con gesti, movimenti e, novità assoluta, con suoni e parole, in cui il contributo dello stesso danzatore – o “danzattore” – diventa fondamentale.

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Philippine Bausch, detta Pina, nasce a Solingen nel 1940 in un ambiente familiare non particolarmente dedito all’arte. Dopo aver frequentato da bambina una scuola di balletto, a quindici anni viene ammessa alla Folkwang-Schule di Kurt Jooss, uno degli esponenti principali della danza espressionista.

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Grazie a una borsa di studio vola poi a New York per diventare ballerina professionista con il New American Ballet e con la Metropolitan Opera. Nel 1962 torna finalmente in Germania dove nel frattempo Jooss ha fondato il Folkwang-Ballet, del quale entra a far parte.

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È proprio a questo punto che nasce in Pina un senso di profonda insoddisfazione nei confronti del suo ruolo di ballerina. Un anno dopo Hans Zullit, successore di Jooss nella direzione della Folkwang-Schule, affida alla giovane coreografa la direzione artistica del corpo di ballo della scuola, il Folkwang-Tanz-Studio.

Pina trascorre i primi anni Settanta dedicandosi alla ricerca: vuole trovare nuove possibilità espressive che possano avvicinare il teatro alla danza. Mentre il suo stile va piano piano definendosi, nel 1973 rinomina il corpo di ballo Wuppertal in Tanztheater Wuppertal sancendo così in modo definitivo la nascita del teatro-danza.

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Al Tanztheater Wuppertal di Pina però, la tecnica classica non fu mai abbandonata. Il suo studio resta uno dei punti cardine nel training della compagnia, accanto alla tecnica moderna. I corpi dei danzatori sono temprati da anni di lavoro e disciplina, ma nelle improvvisazioni si ricerca la spontaneità, per poi sperimentarla sulla scena. La tecnica diventa quindi uno strumento, un mezzo d’espressione e non più un fine da perseguire.

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I primi lavori sono ispirati a capolavori artistici, letterali e teatrali, come Le Sacre du Printemps (La Sagra della Primavera). Con Cafè Müller si assiste ad una svolta decisiva nello stile e nei contenuti. L’ambientazione e l’atmosfera struggente dello spettacolo richiamano l’infanzia della coreografa, gli anni passati ad osservare il mondo che, a piccole dosi, entrava ed usciva dal ristorante del padre.

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Gli anni ’80 per la Bausch sono anni di sperimentazioni, i danzatori cambiano aspetto, si trasformano, divengono persone, indossano abiti quotidiani e fanno anche azioni comuni, concrete. Sono importanti i gesti, che vengono riprodotti, accelerati, decontestualizzati, scomposti, quanto la mimica facciale e anche la parola.

Il teatro di Pina è un teatro generoso, benevolo, largo, che fa danzare individui; per la prima volta non si parla di danzatori bensì di “persone che danzano”, un percorso caratterizzato dal suo ostinato porre domande, dalla sua curiosità profonda, dalla sete di comprendere prima ancora di muoversi, dal non volere dare sfoggio ma sostanza, dall’osservare a lungo ogni elemento della sua compagnia per poi realizzare un grande gioco, che è però un gioco serissimo, perché ruota intorno alle tematiche della solitudine, dell’infanzia, del bisogno d’amore.

Le prime opere sono animate da una critica alla società consumistica, mentre le opere più mature privilegiano l’approfondimento della visione intima della coreografa e dei suoi danzattori, chiamati direttamente ad esprimere le proprie interpretazioni dei sentimenti. I danzattori – definiti cosi dalla stessa Pina, poiché non erano semplicemente danzatori ma anche veri e propri attori – erano condotti alla creazione di pièces attraverso l’improvvisazione, generata dalle domande che la coreografa poneva loro.

La Bausch vuole che i danzatori esprimano attraverso il linguaggio del corpo i propri problemi, i propri bisogni e le proprie emozioni in modo tale che il pubblico possa specchiarsi nella rappresentazione che gli altri fanno di se stessi.

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Il suo comincia ad essere chiamato il “Teatro dell’esperienza” e tutti i pezzi creati dopo il 1980 confluiscono in un medesimo discorso fatto di storie vere. Diventano elementi indispensabili delle complesse coreografie i materiali scenici, tra cui soprattutto sedie.
Era un teatro-totale, capace di fondere linguaggi, stili, rimandi, citazioni, visioni. La Bausch si nutriva di domande, s’interrogava in continuazione sull’efficacia, sul senso e sul valore del suo lavoro, quasi come se non ne fosse mai soddisfatta. L’intransigenza delle domande che Pina Bausch poneva a se stessa, ai suoi ballerini e al pubblico sono stati la struttura portante di tutta la sua opera.

Spesso si trovò schiacciata e oppressa dalla critica, ma il suo forte stato d’animo le ha permesso di rubare da quelle situazioni una grande ironia e di riproporla sovente nelle sue coreografie, cosi come si nutriva dei gesti e delle anime dei suoi danzatori, restituendo loro un’immagine di assoluta libertà e rara forza.

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Fu amata da Federico Fellini, che la diresse nel suo ”E la nave va“ (“una santa coi pattini a rotelle, una monaca severa che all’improvviso ti strizza l’occhio”, scrisse di lei il regista) e da Pedro Almodovar che in “Parla con lei” fa piangere il protagonista vedendo Pina ballare Café Müller.

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Proprio Café Müller, del 1985, affascinò il regista Wim Wenders, che intraprese con la coreografa uno stretto rapporto di amicizia e collaborazione, che lo portò al progetto di un film, che stentava a venire alla luce in quanto Wenders pareva non trovare mai la chiave per tradurre su pellicola il gesto, il movimento, l’essere dell’attore-danzatore nello spazio scenico.
Un documentario, la cui lavorazione iniziò nel 2008, ma fu segnato dalla morte improvvisa di Pina Bausch il 30 giugno del 2009. 
“Pina”, di Wim Wenders ha visto la luce nel 2011 e si è aggiudicato alcuni importanti premi, tra cui l’European Film Awards per il Miglior Documentario.

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Nel 2007 la coreografa ottenne il Leone d’Oro alla Carriera, consegnatole con questa motivazione: “Pina Bausch è un’artista che ha segnato una nuova via originale all’espressione scenica del corpo danzante e parlante, influenzando non soltanto la danza contemporanea, ma anche le arti ad essa contigue, mutandone gli orizzonti. La Bausch è una coreografa che ha innovato il teatro, rendendolo più che mai fisico e musicandone la drammaturgia.”

Il 30 giugno 2009 Pina Bausch morì a 68 anni, per un cancro diagnosticato cinque giorni prima.

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Pina è stata una delle più grandi coreografe mai esistite, ha permesso al mondo di conoscere il teatro-danza e di amarlo. Un’ artista unica, una rivoluzionaria, che è stata capace di fondere, in modo del tutto personale, il mondo della danza con quello del teatro.

La lezione di Pina Bausch rimane insuperata, ed ha cambiato l’estetica teatrale del secondo Novecento, come testimoniano le tante compagnie di teatro-danza nate in Europa e nel mondo, a partire dagli anni ’80 fino ad oggi.

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“Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza, e per motivi del tutto diversi dalla vanità. Non per dimostrare che i danzatori sanno fare qualcosa che uno spettatore non sa fare. Si deve trovare un linguaggio – con parole, con immagini, atmosfere – che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre.”
(Pina Bausch)

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La voce di Giancarlo Giannini: potente, unica, calda …   45 comments

Caro Maestro anche tu ci hai lasciato!   3 comments

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E’ morto l’attore e regista Franco Mescolini, recitò con Benigni e altri grandi

Attore, regista e drammaturgo dalla lunga carriera sia in radio, in tivù cinema e teatro, senza dimenticare le strade e le piazze che lui ha sempre amato molto

Elisabetta Boninsegna
Cesenatoday
12 aprile 2017

Questa mattina, mercoledì, all’ospedale Bufalini, è morto Franco Mescolini a seguito di una complicanza intervenuta dopo un’operazione chirurgica. Avrebbe compiuto 73 anni il 26 luglio prossimo. Attore, regista e drammaturgo dalla lunga carriera sia in radio, in tivù cinema e teatro, senza dimenticare le strade e le piazze che lui ha sempre amato molto. Franco Mescolini ha segnato molte generazioni di cesenati, indicando come si insegna ai figli non solo a stare su un palco ma anche a vivere, a ridere e a vedere l’aspetto magico della vita.

A Cesena aveva messo in piedi la compagnia “La Bottega del teatro” con cui ha portato in giro moltissimi spettacoli indimenticabili, primi tra tutti Shakespeare e Dante in dialetto.  Ma Franco Mescolini è stato attore di cinema, prima di tutto. Un po’ di anni fa di lui Tullio Kezich scrisse: “Franco Mescolini, il vitellone giocatore di carte di Sabato Italiano. Se ce lo vedono a Hollywood ce lo portano via subito”. Ha lavorato con registi come Gigi Proietti, Maurizio Scaparro, Ugo Gregoretti, Mario Monicelli. Da giovane ha frequentato il Dams a Bologna sebbene il padre non volesse. Mentre studiava un professore lo chiamò in un gruppo teatrale e da lì è iniziata la sua carriera. Lo notarono e gli chiesero di fare un provino con dei funzionari Rai a Torino per recitare negli sceneggiati tivù. Ha vissuto per trent’anni a Roma, lavorando nel settore della tivù e della radio, non dimenticando mai la sua Cesena.

Poi c’è stato l’incontro con Roberto Benigni col quale si è trovato subito bene. Nel suo film “Il Mostro” era proprio Franco Mescolini il mostro. E anche ne “La vita è bella” aveva una particina, sebbene il suo compito più importante fosse dietro le scene, ovvero restare con il bambino quando non girava il film. L’ultimo film è stato girato qualche anno fa, “Tempo instabile con probabili schiarite” con Lillo e Greg. L’anno scorso era stato anche pubblicato un libro su di lui, edito da “Il Ponte Vecchio” scritto da Daniela Placido dal titolo “Franco Mescolini. Uomo, maestro, giullare”.

I MESSAGGI DI CORDOGLIO – Moltissimi i messaggi di cordoglio e amicizia vera e profonda apparsi da mercoledì mattina sulla sua pagina facebook. Tra questi anche quello di Barbara Abbondanza, attrice televisiva che ha iniziato a recitare con lui. “Tu mi hai insegnato a parlare con la luna, tu mi ci hai portato con sapiente maestrìa e da lassù abbiamo guardato il mondo certe notti d’estate. Con te ho iniziato il mio vero grande viaggio della vita sui sentieri dei sogni … se sono quella che sono oggi lo devo anche a te. Tu parti, ma per me sarai sempre il mio faro nella notte, la stella che guida ogni mia rotta su sentieri che abbiano un cuore. Buon viaggio mio amato Franco Mescolini … e quando sarai arrivato mangiati un bel bignè! Ci mancherai tanto…”

“Franco – ricordano il sindaco Paolo Lucchi e l’assessore alla Cultura, Cristian Castorri – ha occupato un posto speciale nella storia recente del Bonci e in generale del teatro a Cesena. E ci piace ricordare soprattutto il suo impegno di straordinario animatore culturale – portato avanti anche in Consiglio comunale, di cui ha fatto parte fra il 1979 e il 1980, subentrando ad Alberto Sughi –  e il ruolo di generoso maestro, che ha svolto fin dai lontani anni Settanta, attraverso i corsi, le scuole, le attività promosse in città, nei quartieri, nella sede della sua Bottega, rivolgendosi sia ai professionisti, o ai futuri professionisti, sia agli appassionati, a tutti coloro che amando il teatro hanno desiderato imparare ad usarne gli strumenti”.

“Ma Franco è stato anche un grande motivatore: le sue appassionate “arringhe” a favore del teatro di sempre, della sua funzione culturale e didattica, sono indimenticabili – proseguono Lucchi e Castorri -. Senza dimenticare la sua opera di autore e interprete che lo ha portato a partecipare, nel teatro e nel cinema, a produzioni di grande importanza, ma soprattutto a essere egli stesso produttore di numerosi spettacoli, giocati su registri diversi e rivolti a diversi tipi di pubblico. Preziosa la collaborazione con il Bonci, portata avanti fin dai tempi del suo debutto e, in particolare, l’instancabile lavoro svolto dagli anni Ottanta ad oggi per far crescere la Stagione di Teatro ragazzi e garantirle quella ricchezza di contenuti e di idee che la rendono apprezzata e seguita. Con Mescolini se ne va un protagonista della cultura cesenate, e oggi siamo tutti un po’ più poveri”.

Fonte: http://www.cesenatoday.it/cronaca/morto-franco-mescolini-cesena-attore.html

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Buon viaggio, mio amato Maestro, un pezzo del mio cuore oggi viene con te, in quell’altrove teatrale del quale nei tuoi spettacoli parlavi sempre. Ho imparato tanto alla tua “scuola”, soprattutto a scavare nella mia anima e tirar fuori quello che di più nascosto vi si celava, trasformandolo in emozioni da trasmettere attraverso altre vite che solo in scena si possono vivere. Il teatro è magico, Maestro, tu mi hai insegnato ad usarlo, a farne mie le tecniche, ma tu mi hai insegnato soprattutto la magia della vita, mi hai insegnato ad apprezzarla, a vederne gli aspetti positivi anche quando tutto per me era nero, mi hai trasmesso l’allegria, la fiducia e il coraggio, in un momento particolare della mia vita, di affrontare la mia disperazione e trasformarla … in vita! Hai segnato un pezzo importante di questa mia vita, arricchendola di esperienze indimenticabili. Oggi tu hai iniziato questo viaggio, io lo sento come una grande perdita, ma allo stesso tempo i ricordi che riaffiorano in me intensamente mi fanno anche sentire più ricca, perché ho la fortuna di averli, di aver condiviso con te anche solo un piccolo pezzo della mia strada. Buon viaggio, Franco, so che al tuo arrivo, ad attenderti, ci sarà una platea stracolma e che l’applauso risuonerà inarrestabile fin nei più piccoli meandri di quel grande teatro pronto ad accoglierti. Il mio grande affetto e rispetto per te, chapeau Maestro!

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LEONARD COHEN , IL PIU’ GRANDE DI TUTTI   Leave a comment

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Tra tutte le cose che ho letto in questi giorni su Leonard Cohen, nessuna, come questo bellissimo articolo, mi ha emozionato ed ha espresso in maniera toccante e commovente anche il mio stato d’animo. Grazie.

Accademia di Stoccolma – 1997: “… dileggia il potere seguendo la tradizione dei giullari medioevali e restituendo la dignità agli oppressi”   20 comments

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Dario Fo – 13 Ottobre 2016

Inviato da Redazione il Gio, 10/13/2016 – 12:20

Milano, 13 ottobre 2016

Il Maestro Dario Fo si è spento oggi 13 ottobre 2016 presso l’Ospedale Luigi Sacco di Milano, dove era ricoverato da qualche giorno a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute.

Il nostro Paese e il mondo intero perdono oggi un artista che per tutta la vita si è battuto contro l’affermazione secondo cui “la cultura dominante è quella della classe dominante”. Attraverso la sua intera opera Dario Fo ha lavorato affinché le classi sociali che da secoli erano state costrette nell’ignoranza prendessero coscienza del fatto che è il popolo a essere depositario delle radici della propria cultura.

Per questo suo impegno nel 1997 gli è stato conferito il Premio Nobel per la Letteratura “perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.

Insieme all’adorata compagna Franca Rame ebbe il coraggio di allontanarsi dai circuiti teatrali ufficiali, che lui amava definire “teatro borghese”, per portare i loro spettacoli in luoghi non convenzionali come fabbriche occupate, piazze, case del popolo e carceri.

Quando si appassionava a una storia e a un personaggio per prima cosa conduceva un’inchiesta approfondita, per imparare lui stesso in modo da poter trasmettere agli altri. La sua figura si distingue in questo, Dario Fo non ha mai avuto bisogno dell’etichetta di “intellettuale”, perché l’idea di cultura per la quale si è battuto non è né accademica né elitaria. I suoi lavori nascono dalla cultura popolare per essere restituiti al popolo.

Il suo modo di concepire la narrazione non era mai limitato, ma si allargava a tutte le forme artistiche cui amava attingere. Nel momento in cui scriveva una storia all’istante la vedeva, vedeva i personaggi, i volti, le scene, e li raffigurava sulla tela, per poi portarli sul palco, trascinando il suo pubblico in una straordinaria scatola magica.

Tutta la Compagnia Teatrale e la famiglia ringraziano per l’affetto ricevuto in queste ore.

Fonte: http://www.dariofo.it/

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Maestro, la mia ammirazione, la mia stima, il mio grande rispetto
per il tuo “mestiere” e la tua vita.
Adesso, mi piace pensarti così … insieme a Franca!

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Dario Fo e Franca Rame in Mistero Buffo

“Ho ottant’anni ma ne ho vissuti almeno centocinquanta. Se poi calcolo quelli di Franca, alla fine in due facciamo circa tre secoli. Un arco di tempo lunghissimo racchiuso in due sole vite, perché quegli anni sono stati tutti, non uno di meno, belli e intensi. I mesi duravano 60 giorni, i giorni 48 ore… Sì, di vite noi due messi insieme ne abbiamo vissute davvero tante.” (Dario Fo)

Da “Il mondo secondo Fo” di Dario Fo – Anno 2008
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La mia commozione, il mio affetto, la mia vicinanza a Jacopo.

Ciao Dario, Buon Viaggio.

Chapeau!

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E’ MORTO RICCARDO GARRONE, SALUTIAMOLO CON UN CAFFE’   16 comments

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Chapeau, Riccardo, buon viaggio!

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Senegal: Omaggio a Essamba   4 comments

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Fiero corpo nero

di Stefania Ragusa

Al Musée Théodore Monod di Dakar fino al 30 marzo una retrospettiva dedicata alla fotografa camerunese Angèle Etoundi Essamba. Che da trent’anni racconta e svela l’universo femminile africano.

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Riferendosi ad Angèle Etoundi Essamba, parlare di lunga carriera è più che appropriato. La splendida artista di origine camerunese, cresciuta a Yaoundé, la capitale del Camerun, e approdata a Parigi da bambina nel 1972, ha cominciato a fotografare prestissimo, distinguendosi subito per lo sguardo committed e sapientemente creativo e per la capacità di precorrere i tempi. Ha esposto in tutto il mondo, collezionato premi e messo insieme un curriculum di prima classe.

Un’artista di questo livello e di questa esperienza non avrebbe ragione di farsi sorprendere dall’emozione di fronte a una nuova mostra. Ma Force & Fierté: 30 années de photographie de la femme africaine, la retrospettiva che le dedica il Musée Théodore Monod di Dakar (ex Musée de l’Ifan) dal 18 febbraio al 30 marzo, non è solo un nuovo tassello che si aggiunge a una storia professionale di alto livello. Questo evento ha infatti un valore molto importante su scala panafricana: è la prima volta che un’istituzione museale del continente dedica a un’artista africana una mostra di queste proporzioni; è un omaggio senza precedenti.

Dice Essamba: «Esporre in Senegal, paese in cui ho realizzato molti dei miei lavori e che continua a essere per me una importante fonte d’ispirazione, è un grande onore. Mi considero molto fortunata e sono grata al presidente per avermi dato questa opportunità». È stato Macky Sall in persona a invitarla a Dakar, dopo avere visto ad Addis Abeba alcuni dei suoi lavori ed esserne rimasto impressionato. Era fine gennaio dello scorso anno. La capitale dell’Etiopia ospitava un vertice dell’Unione africana dedicato all’empowerment femminile, e la presidente Dlamini-Zuma le aveva chiesto di portare lì alcune sue opere.

Il soggetto privilegiato di Essamba è l’universo femminile. In particolare quello della sua terra, attraversato da figure forti e affascinanti, lontanissime dai cliché che popolano l’immaginario occidentale. «Considero importante spezzare lo stereotipo delle africane oppresse e passive e mostrare il loro volto vibrante, attivo, impegnato». Oggi, per fortuna, riflessioni di questo tipo sono ricorrenti. Trent’anni fa, quando la nostra ha iniziato a scattare, no. «La condizione delle donne in Africa è cambiata e in meglio. Pensiamo a paesi come il Rwanda, dove addirittura la metà dei parlamentari è donna. Ma rimane ancora molta strada da percorrere».

Le donne che ritrae non sono mai modelle professioniste. «Posso sceglierle da qualsiasi contesto, tranne che dalle agenzie fotografiche. Ho coinvolto nei miei lavori persone incontrate per strada, amiche, parenti… Ma sempre persone normali, vere». Le sue composizioni fotografiche, per quanto costruite e concettuali, sono sempre espressione dell’autenticità: raccontano una storia reale. Se così non fosse, perderebbero il loro valore testimoniale. Chi avrà la fortuna di essere a Dakar, nel periodo di apertura della mostra, potrà rendersene conto. Grazie anche a un impianto espositivo quasi pedagogico, che permette al visitatore di fare una sorta di viaggio attraverso il percorso artistico di Essamba.

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200 immagini. Si va dalle donne forti e fiere (che danno anche il titolo all’esposizione), protagoniste delle serie Black and White e Colours, alle lavoratrici sfruttate nelle miniere, nelle fabbriche tessili e in altri luoghi topici della globalizzazione, che animano il più recente progetto Territories (quello che ha colpito Macky Fall). Nel mezzo ci sono i dettagli rarefatti e poetici del lavoro intitolato Beyond Colours, le rappresentazioni della natura (Mother Nature), della vita e della morte (Transition 1 e 2), e anni di ricerca artistica, esistenziale, etica. Anni di femminismo praticato e di destrutturazione dei pregiudizi.

A selezionare le circa 200 immagini che compongono la retrospettiva è stato Landry-Wilfrid Miampika, versatile intellettuale congolese di stanza a Madrid, esperto di arte contemporanea africana e già curatore di altre mostre dell’artista. «In questi trent’anni Angèle Etoundi Essamba ha seguito una linea artistica coerente e un’estetica duratura, un dato non comune a tutti gli artisti africani. Nel suo lavoro troviamo una nuova politica di rappresentazione del continente africano, lontana dai pregiudizi derivati dalle percezioni coloniali e neocoloniali. Troviamo una nuova rappresentazione, poetica, della donna nera africana e la messa in scena e la sublimazione del corpo nero su diversi versanti fotografici. Non credo sia necessario ricordare i pregiudizi che storicamente, nei secoli, hanno investito il corpo nero, la donna nera e l’Africa. La fotografia di Etoundi Essamba è una decostruzione artistica di molti di questi pregiudizi. E il suo contributo fotografico sulla visibilità della donna africana nera è notevole».

In tutti questi anni Essamba non si è limitata a fotografare. Ha dato vita a una Fondazione che si è occupata, in particolare, delle bambine di strada in Camerun. E poi, insieme con Céline Seror, ha avviato un progetto editoriale centrato sull’arte contemporanea africana al femminile, ossia fatta, vista e raccontata dalle donne. Si chiama IAM, Intense Art Magazine, e comprende un semestrale cartaceo, un sito web e l’organizzazione di eventi legati alle arti visuali e al design made in Africa o dalla diaspora.

Essamba: «Questa piattaforma rappresenta il logico prosieguo del mio lavoro artistico. La creatività delle africane è tanta e merita di essere celebrata nel mondo. Io sono convinta che arte e sviluppo procedano di pari passo: è molto importante che l’Africa riconosca e faccia conoscere i suoi talenti». Lo scorso ottobre, attraverso IAM, è stata organizzata a Douala una settimana di eventi e incontri dedicati in modo specifico all’arte e alla moda del Camerun. Il format, battezzato Iam Art & Fashion, ha avuto un grande successo e sarà replicato a maggio, in occasione di Dak’Art. Il focus ovviamente, in questo caso, sarà sul Senegal. Per la nostra Angèle sarà anche un modo di ringraziare il paese che ha scelto di celebrarla.

Fonte: nigrizia.it
Venerdì 19 Febbraio 2016

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Buona notte …   3 comments

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Pubblicato 26 luglio 2015 da mariannecraven in Arte, Diario

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Impressionisti russi contemporanei   2 comments

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Konstantin Razumov

Konstantin Razumov è nato nel 1974 a Mosca. Ha studiato alla Ilya Glazounov’s Academy e si è specializzato in pittura storica ottenendo un grande successo. Un artista giovane e talentuoso, influenzato da stili diversi combinati magistralmente in un mix che comprende realismo e impressionismo. Al centro del suo universo la bellezza, l’eleganza e la sensualità della donna, figura ritratta con grande realismo ma vestita di abiti e circondata da oggetti dipinti con le tipiche pennellate impressioniste. Una pittura raffinata caratterizzata da colori freschi e brillanti, dove ad un fedele stile impressionista viene aggiunto un tocco moderno. I suoi lavori si trovano in collezioni private e nelle gallerie delle più famose città del mondo: Mosca, Parigi, Londra e New York.

Romanticismo e bellezza si sposano perfettamente con la delicatezza dei colori ad olio per un risultato che affascina. Nella maggior parte dei suoi dipinti figurativi, le caratteristiche di mani e viso sono dipinti realisticamente, mentre i tessuti ed i dintorni sono dipinti con una pennellata impressionista.

Io ci vedo le donne di Renoir e le pin up degli anni 50, in chiave moderna, nonostante l’abbigliamento da belle epoque.

Mi piace!

Ma Razumov non ha dipinto solo donne, ci sono anche le sue bambine.

Nei ritratti di bambini Razumov mostra una delicatezza e tenerezza che molto contrasta con i dipinti delle donne … lì sensualità elegante, qui innocenza … bambini sulla spiaggia, all’interno della casa, vestiti ora in abiti moderni ora come ai primi del ‘900. Una fantastica galleria di questo giovane e versatile artista.

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