Archivio per 3 luglio 2015
Sì, la sinistra italiana dovrebbe raccogliere davvero questo insegnamento, per essere credibile. Ma esiste ancora una sinistra a livello istituzionale? C’è tanta, tantissima gente con grandi valori, ma intorno a chi potrebbe raccogliersi?
Essere Sinistra

di Nello BALZANO
Avevamo così tanta voglia di liberarci di Berlusconi ed avevamo ragione, che la lettera preparata dall’Europa era un dettaglio.
Si sono presi gioco di noi, della nostra incapacità di costruire una politica credibile, e con la complicità del Presidente Giorgio Napolitano e dei potentati finanziari, hanno costruito un percorso per ridurre ogni conquista sullo stato sociale, colpire i diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, dall’operaio al ricercatore, dal muratore, al praticante nello studio legale.
Se ci pensiamo bene 20 anni persi a costruire un antiberlusconismo, invece di una forza di sinistra, in grado di proporre politiche serie, 20 anni a sommare partiti e partitini, scioglierli tra loro in un miscuglio dal gusto atroce; oggi siamo messi ancora peggio, perché gli avversari politici sono triplicati, l’onnipresente destra berlusconiana, la demagogia senza proposte dei cinquestestelle, ma ciò che ancor peggio un PD senza un volto, senza una prospettiva…
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Uomini, capirete mai che quando una donna dice no, significa NO?
Anch’io ho preso a cuore la Grecia. Oggi la Grecia siamo noi.
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Konstantin Sergeyevich Stanislavskij
“Per coloro che non sono capaci di credere, ci sono i riti; per coloro che non sono capaci di ispirare rispetto da sé, c’è l’etichetta; per coloro che non sanno vestirsi, c’è la moda; per coloro che non sanno creare, ci sono le convenzioni e i cliché. Ecco perché i burocrati amano i cerimoniali, i preti i riti, i piccoli borghesi le convenzioni sociali, i bellimbusti la moda, e gli attori le convenzioni teatrali, gli stereotipi e un intero rituale di azioni sceniche.”
“Noi protestammo contro la vecchia tecnica della recitazione, contro il falso patos, la declamazione, contro gli eccessi personali degli attori, contro la cattiva consuetudine della messa in scena, contro il criterio del primo attore che nuoceva al complesso, contro tutta la corruzione degli spettacoli, contro il repertorio scadente dei teatri d’allora. Nella nostra rivoluzione, in nome di un rinnovamento del teatro, noi dichiarammo guerra ad ogni convenzionalismo”. Così scrive Stanislavskij ricordando la fondazione del Teatro d’Arte di Mosca nel 1897

“Il mio scopo non è insegnarvi a recitare, il mio scopo è aiutarvi a creare un uomo vivo da voi stessi. Il materiale per crearlo dovete prenderlo da voi stessi, dalle vostre memorie emotive, dalle esperienze da voi vissute nella realtà, dai vostri desideri e impulsi, da elementi interni analoghi alle emozioni, ai desideri e ai vari elementi del personaggio che impersonate”.
“Il testo verbale di un’opera drammatica, tanto più è geniale, tanto più appare l’espressione di sentimenti e pensieri dello scrittore e degli eroi del suo dramma. Sotto ogni parola del testo si nasconde un sentimento ed un pensiero che l’hanno originata e la giustificano. Le parole in sé sono vuote come noci senza gheriglio, sono concetti senza contenuto, inutili anzi nocivi”.
“Il Sistema non è un manuale di consultazione, è tutta una cultura, sulla quale bisogna crescere e formarsi per anni. Non serve sgobbare, bisogna assimilarla, in modo che entri nella carne e nel sangue, che diventi una seconda natura.”
Ad un’attrice che gli chiese chiarimenti sul personaggio di Ofelia, Stanislavskij rispose “Non è ancora giunto il momento di parlare di ciò che è Ofelia. Mostri prima quel che lei stessa è in quella parte, e allora le si dirà quel che deve essere la sua Ofelia”. Ciò che il regista voleva intendere era che l’attrice in questione non doveva “fare come se fosse Ofelia” ma si sarebbe dovuta domandare “se io fossi nelle condizioni di Ofelia, cosa farei?”. Il che è completamente diverso.
“Imparate ad amare l’arte in voi stessi, e non voi stessi nell’arte.”
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Actor’s Studio di New York
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Roberto Herlitzka: fare l’attore è un gioco faticoso
di Roberto Zichittella
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Il grande attore è tornato al cinema nel film “Io, Arlecchino” di Giorgio Pasotti.
Non ti aspetti di vedere Roberto Herlitzka nei panni di Arlecchino, con il contorno di frizzi, lazzi e parlata dialettale che caratterizzano la celebre maschera della Commedia dell’Arte. L’insolito travestimento accade in Io, Arlecchino, un film di Matteo Bini e Giorgio Pasotti. Herlitzka interpreta Giovanni, un attore gravemente malato che fino all’ultimo non rinuncia a recitare. Questa abnegazione lascia il segno nel figlio Paolo (Giorgio Pasotti), che riuscirà così a dare una svolta alla sua vita.
Nella sua casa romana, Hertlitzka confida: «Sono stato contentissimo della proposta di Pasotti, perché non mi sarei mai immaginato di interpretare Arlecchino. La Commedia dell’Arte è un genere che non ho mai praticato, lontano dai miei interessi artistici. Invece mi sono divertito molto».
Un cognome di origine morava (antenati di Brno), torinese, 77 anni, sposato dal 1968 con l’attrice Chiara Cajoli, Herlitzka ha modi infinitamente cortesi e un volto che pare intagliato nel legno. Difficile immaginarlo in ruoli divertenti o comunque eccentrici, eppure fra cinema e teatro Herlitzka ha vestito anche i panni di una vecchia donna nazista, di un un uomo anziano che avrebbe sempre voluto essere donna, del cardinale gourmet in La grande bellezza. In un prossimo film di Marco Bellocchio, Herlitzka impersonerà un vampiro («però non mi vedrete con i dentoni», precisa) e non va dimenticata la sua partecipazione alla serie televisiva Boris.
In inglese e in francese recitare è sinonimo di giocare. Anche per lei il lavoro di attore è un gioco?
«Direi di sì, ma è un gioco estremamente impegnativo. Se uno non si diverte a fare l’attore è meglio che smetta, se no diventa un supplizio. Fare l’attore è divertimento, ma bisogna faticare molto per conquistarsi il diritto di giocare».
Questo glielo ha insegnato Orazio Costa, il suo maestro all’Accademica d’Arte Drammatica?
«Senza di lui non mi sarei reso conto di quanto sia difficile recitare bene. Forse avrei avuto come modelli dei bravissimi attori, però incapaci di comprendere fino in fondo quello che fanno. Il che non è obbligatorio, ci sono grandi attori che non capiscono nulla e forse proprio per questo sono bravi attori. Ma Costa mi ha fatto capire quale montagna bisogna scalare per arrivare a fare veramente qualcosa».
Come ha deciso di fare l’attore?
«Da ragazzo a Torino vidi un’operina del Settecento, non ricordo di chi. Alla fine gli artisti in costume uscirono a ringraziare il pubblico. In quel momento decisi che avrei fatto l’attore. Tra l’altro in teatro io le luci non le cerco, anzi le fuggo, e sono sempre un po’ imbarazzato con i ringraziamenti, ma mi piacque quella situazione».
La passione per la musica le è rimasta. Lei frequenta i concerti dell’Accademia di Santa Cecilia e in questa stanza c’è un pianoforte. Lo suona spesso?
«Studiavo il piano privatamente, poi ho smesso. L’ho suonato per conto mio leggendo molto male soprattutto le Sonate di Mozart, che sono le più facili da leggere, ma non da suonare».
Le piacerebbe interpretare un musicista famoso?
«Oh sì. Il più fascinoso dal punto di vista umano è Chopin, ma morì giovane e ormai sono fuori età. Mi piacerebbe interpretare un film dove faccio il pianista. In parte, l’ho già fatto in Aria, un film poco noto. Mi dava grande soddisfazione vedermi e sentirmi suonare così bene, anche se ovviamente il suono veniva da un vero pianista».
Gran parte del pubblico la ricorda per il ruolo di Aldo Moro in “Buongiorno, notte” di Bellocchio. Le pesa essere identificato soprattutto con un personaggio?
«Beh, per noi attori non è l’ideale, ma non posso certo lamentarmi. Quello di Moro era un grande personaggio, l’ho fatto bene, il film è stato consacrato, ho avuto tutti i premi possibili. Però mi piacerebbe essere ricordato anche per Il rosso e il blu di Giuseppe Piccioni e Marianna Ucrìa di Roberto Faenza. Ho fatto film dove sono l’assoluto protagonista, girati da registi alle prime o alle ultime armi e non sostenuti dalla distribuzione, che purtroppo non ha visto quasi nessuno».
Si riconosce un carattere schivo?
«Lo so, certamente sono una persona schiva, purtroppo».
Perché dice purtroppo?
«Perché nel nostro lavoro essere schivi porta molto rispetto, ma niente altro. Invece conta la capacità di relazionarsi, di intrufolarsi dappertutto, ma quello mi manca. So anche di avere la nomea di attore rigoroso e drammatico, ma in realtà se c’è da far ridere il pubblico io ci riesco benissimo, anche facendo Shakespeare».
Fonte: famigliacristiana.it
19 Giugno 2015
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