Archivio per 22 giugno 2015
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Il matrimonio del topo
C’era una volta un bellissimo topolino bianco. E diventava sempre più bello mentre cresceva e diventava adulto. I suoi genitori si chiedevano spesso: Dove troveremo una moglie degna per lui? Quando arrivò il momento di cercare una moglie decisero che solo nella famiglia di Dio poteva esserci una ragazza giusta per lui. Così, come era d’uso, tre vecchi componenti della famiglia andarono da Dio a chiedergli una moglie per il bel topolino. Giunti alla casa di Dio, i tre entrarono e dissero: Veniamo per conto del bellissimo topolino bianco, a cercare una moglie degna di lui: solo tu puoi trovarcela! Dio allora disse. Grazie di essere venuti,ma siete nel posto sbagliato: dovete andare a casa del vento! Il vento è più forte di me, perché mi soffia la polvere negli occhi!” A quel punto i tre messaggeri decisero di andare a casa del Vento. Ma giunti là, il Vento disse loro:”Vi ringrazio, ma la Montagna è più forte di me: io non riesco a scalfirla, malgrado soffi con tutta la mia forza! A quel punto lì i tre topi andarono dalla Montagna, che però disse loro: Grazie di essere venuti, ma c’è una creatura più potente, che mi sbriciola dalle fondamenta: abita là, andate a trovarla! I tre andarono nella casa che gli era stata indicata e videro che era la casa di un Topo. Il capofamiglia disse loro: Avete trovato la moglie per il vostro bellissimo topolino bianco!. Che gioia! E così il bellissimo topolino bianco trovò una moglie degna di lui.
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Cosa sono le favole per gli africani
Per gli africani le favole sono vicende fantastiche narrate per divertire e per insegnare a vivere. Gli uditori si sentono coinvolti nel racconto e partecipano ai successi o alle disgrazie degli attori con esclamazioni di gioia o di delusione. Ma dietro il velo delle immagini le favole rappresentano la vita come è o come dovrebbe essere. Allora il narratore diventa un maestro di vita. Di solito è un anziano o griot. Le favole vengono raccontate di sera, attorno al fuoco che raccoglie piccoli e grandi. Oppure vengono proposte al gruppo dei giovani raccolti in foresta nel periodo dell’iniziazione. A volte, in forma sintetica, sono ricordate anche nelle sedute dei tribunali indigeni come fonte di norme in base alle quali raggiungere una giusta sentenza.
I racconti dell’Africa Nera
Offrono l’immagine d’un mondo alle prese con le forze della natura, con le belve della foresta, con gli spiriti vaganti e con il potere delle streghe onnipresenti. Nell’Africa Nera lo scopo principale cui mira il narratore è l’insegnare. La favola è una lezione per immagini. Le popolazioni africane si servono di oggetti visibili, di fatti concreti, di azioni che coinvolgono i presenti, come le danze e i canti. Così il messaggio s’imprime nella memoria e influenza la loro vita. Dovendo insegnare qualche cosa per la vita, le favole africane hanno per protagonista sempre l’uomo, anche quando sono di scena gli animali. Questi non sono che la controfigura dell’uomo, ne riflettono le virtù e i difetti, le tribolazioni, i fallimenti e i successi. Alcuni, impersonando con speciale rilievo un difetto o una virtù, sono divenuti simbolo d’un tipo particolare d’uomo. La lepre e la rana rappresentano, in Africa, l’uomo saggio e coraggioso, il leopardo e il leone sono simbolo dell’oppressore prepotente e ottuso. Allora raccontare le avventure della lepre, del leone o del leopardo, dello scoiattolo o delle formiche, è insegnare la prudenza, il coraggio, l’amore o condannare la prepotenza, l’infedeltà, l’ambizione. Le favole trasmettono così una concezione della vita e forniscono norme per la condotta personale e per la convivenza nella società. Si capisce quindi perché siano strumenti di formazione per le nuove generazioni e ammonimento per tutti.
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Bisogna buttarsi (nell’impresa) a sinistra
Non voto più. Gli elettori e le elettrici di sinistra preferiscono non votare, e se votano, allora scelgono M5S. Almeno sembra utile. È la fine non della storia, ma di una storia. Una storia d’amore.
Chi vota a sinistra preferisce di no. È il messaggio più chiaro che viene dalle urne, dopo la definitiva e amara chiusura di una tornata elettorale che ancora una volta cambia le carte in tavola della scena politica italiana.
Un messaggio che va oltre il tracollo del Pd, travalica la baldanza della destra con la faccia feroce di Salvini e della Lega, il consolidamento nei territori dei M5S, proiettati su una dimensione di governo. Preferiscono di no, gli elettori e le elettrici di sinistra. Preferiscono non votare, e se votano, allora scelgono M5S. Almeno sembra utile.
È la fine non della storia, ma di una storia, proprio come se fosse una storia d’amore. E come nella fine degli amori quello che si perde sono le parole, i luoghi, i riti. Quello che aveva un senso unico e speciale, e brillava di una chiarezza luminosa di immediata comprensione, d’improvviso si spegne, ritorna parola e luogo anonimo, indistinguibile tra gli altri. Si scioglie il legame stringente, sembra che nulla riesca più ad accendere la passione. Rimangono ricordi, memorie, a volte brevi fiammate.
Il linguaggio amoroso restituisce e chiarisce più di altri, a me sembra, quanto avviene. E ben di più dell’uso indiscriminato della categoria dell’antipolitica rende ragione della fine dell’avventura. Non siamo negli anni Novanta, e neppure nel primo decennio del Duemila. Non è solo né principalmente il rancore, che tanto si è analizzato in passato, il motore della nuova astensione e dei nuovi flussi di voto. Gli elettori e le elettrici che hanno preferito di no, in questa tornata elettorale, quelli con radicate scelte di sinistra, come già si era visto in Emilia Romagna lo hanno fatto per scelta politica. Quasi un atto estremo, disperato, forse, ma l’unico possibile. Per dire che non ci credono più. Non credono più all’insieme di sigle che a ogni competizione elettorale si presentano a garantire con i loro richiami al passato comune la continuità di una storia. Perché in realtà non garantiscono nulla. Da tempo. Perché quella storia non c’è più.
È un punto di non ritorno, in cui è essenziale la comprensione di quanto avviene, nel gioco delle forze come nel dispiegarsi dei sentimenti. Per questo non è il momento di rinvii o indugi. Bisogna buttarsi nell’impresa, dove si è, come si è.
Non ci sono trucchi, formule magiche, autorità esterne che possano garantire alcunché. È l’atto di coraggio che il presente richiede. Quale impresa? Entrare con molta attenzione nello spazio vuoto che gli elettori hanno creato. Con l’atto netto, autorevole e umile di aprire ora, adesso un processo costituente, in un’assemblea entro luglio. Indetta da parte di chi c’è, ora, adesso: forze politiche, gruppi, associazioni, chi si muove nell’area aperta alla sinistra del Pd. Con la consapevolezza che il gesto – necessario – non è per nulla sufficiente. Per questo, tra le virtù richieste, l’umiltà è indispensabile. L’impresa più difficile è essere credibili e convincenti, mostrare nelle pratiche che non ci si muove in una logica pattizia, che non si tratta di manovre in vista di nuovi cartelli elettorali, per esempio per le elezioni della prossima primavera in comuni importanti come Milano e Napoli. Insomma, occorre un passo indietro. Bisogna agire il paradosso attuale, oggi assumersi responsabilità politica significa fare spazio, allargare, aprire. Non solo perché gli elettori non perdonano, quindi una scelta adottata per necessità tattica. Ma per convinzione intima, autentica. È la parte più difficile.
Perché non solo vanno trovate parole che scaldino il cuore e la mente, che dicano di mondi da cambiare, di giustizia da rivendicare, di lotte da sostenere. Servono volti che quelle parole, quei mondi, quelle lotte le rendano riconoscibili. Come in un romanzo, o in un film, o in una serie tv, sono i personaggi che danno gambe alla storia che si racconta. Che la rendono vera e potente, viva nella mente di chi partecipa. E visto che non scriviamo un romanzo, ma parliamo di vite, di dolori, di rabbia reale, sono le lotte in corso, i protagonisti e le protagoniste sociali a interpretare questa storia.
Tutto il movimento intorno alla scuola, compreso il sommovimento intorno alla pretesa «ideologia di genere», le lotte per la casa, la nuova attenzione ai beni comuni, il lavoro sempre più svalorizzato. Che qui, in Italia, si faccia fatica a fare spazio alle donne, che pure esistono, attive e autorevoli, fa parte del problema. Che sia così arduo creare una mobilitazione convinta intorno alla tragedia della migrazione dice fino a che punto sono logori i legami, i vincoli, perfino le scelte ideali. È tempo di un nuovo amore.
Non ho usato volutamente termini come coalizione sociale e coalizione politica, non ho parlato d’altro. Ciò che importa è lo spazio che si apre, in queste azioni che non possono che intrecciarsi. Da cui possono passare soggetti, movimenti, persone che da troppo tempo vivono altrove e altrimenti. Fino a quando si potrà dire: preferisco di sì.
Bia Sarasini – Il Manifesto
Domenica 21 Giugno 2015
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Domani, la speranza
Henri Boukoulou
Domani, la speranza
e nel cielo in lutto
vedo i suoi occhi, calmi e dolci
come una carezza,
ascolto la sua voce, pura e bella
come una notte costellata,
leggo il suo messaggio, serio e nobile
come una leggenda greca.
O, divina speranza!
Ecco che nel singhiozzo disperato del vento
si tracciano
le prime frasi del più bel poema d’amore
e domani, è la speranza!
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